Fioroni a Interris.it: “Non va dissipata l’eredità del cattolicesimo democratico”

Intervista di Interris. it al cattolico democratico Giuseppe Fioroni sull'eredità politica di Moro, Dossetti e La Pira

“Rassegnarsi al pensiero di una totale dissipazione della straordinaria e suggestiva eredità del cattolicesimo democratico costituisce una caduta nel buio del pessimismo. Dobbiamo avere più fiducia”, afferma a Interris.it Giuseppe Fioroni, ex ministro e membro della Direzione nazionale del Pd.

Nel cattolicesimo democratico

Nel 1996 Giuseppe Fioroni venne eletto deputato, sostenuto da alcuni partiti centristi che appoggiarono L’Ulivo e divenne il responsabile nazionale per il settore Sanità del Partito Popolare. Nel 2001 confermò il suo seggio alla Camera dei deputati e fece parte del gruppo parlamentare della Margherita. All’interno della Margherita, Fioroni ha guidato il Dipartimento delle politiche della solidarietà. Il 17 maggio 2006 è stato nominato Ministro dell’istruzione del secondo governo Prodi. Dal 23 maggio 2007 è uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Partito Democratico che riunisce i leader delle componenti del futuro Pd. Ha svolto numerosi incarichi all’interno del Partito Democratico. È stato rieletto alla Camera, sempre nelle file del Partito Democratico, sia nel 2008 che nel 2013. È stato vicepresidente della Fondazione Italia Usa.Dossetti, La Pira, Moro. Quale eredità deriva dal cattolicesimo democratico?

“In superficie, tutto appare così lontano dalla testimonianza attiva di uomini come Dossetti, La Pira e Moro. Tuttavia, se l’osservazione di fa più attenta, cambia il giudizio complessivo. Dossetti è la coscienza critica della nostra democrazia, il suo rigore sfida il conformismo del tempo e le negligenze erette a costume di vita pubblica. La Pira ci ricorda che la politica vive di speranza, con ciò assegnando all’amore per l’uomo la forza di una costante rigenerazione. Moro, infine, evoca il dovere di salvare l’impegno nella società e nelle istituzioni dalla necrosi del potere per il potere, posto che solo “l’intelligenza degli avvenimenti”, ossia la capacità di capire le novità, configurano l’apertura al mondo da parte del cristiano”.La politica, insegna Paolo VI, è la più alta forma di carità. Per lei che ne ha fatto una ragione di vita, cosa significa per un cattolico impegnarsi nella vita pubblica?

“Significa dare il giusto valore alla realtà della vita concreta. In più significa, però, non farsi travolgere dal tumulto delle cose. Un cristiano ha sempre il dovere di preservare dentro di sé la riserva critica verso il dato storico dell’esistenza. Per questo Moro, che ben conosceva la lezione di Paolo VI, si appellava al “principio di non appagamento” come perno della riflessione cristiana sulla politica. Spesso perdiamo di vista la necessità di declinare in termini di servizio – così si dice – il ruolo che esercitiamo nella vita pubblica. Ogni giorno dobbiamo fare il nostro esame di coscienza”.Quale motivo di attualità può arrivare alla società attuale dalla dottrina sociale della Chiesa?

“Credo che possa o debba arrivare il motivo della sua “armoniosa complessità” in rapporto ai bisogni dell’uomo contemporaneo. Le ideologie, specie quelle di origine ottocentesco, si sono perse nella unilateralità di un progetto o di una visione, radicalizzando un modello astratto di società. La Dottrina sociale della Chiesa ci sollecita e ci spinge a fare di più, sempre, con coscienza; tuttavia non ci imprigiona nelle formule da laboratorio sociale, giacché l’ancoraggio al realismo restituisce ad ogni passaggio il peso – o meglio la potenza creativa – della responsabilità personale”.