Corruzione e violenza sessuale, ai domiciliari il sindaco di Petilia Policastro

Le accuse: peculato, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, corruzione in atti giudiziari e violenza sessuale

I Carabinieri del Comando Provinciale di Crotone stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare applicativa della misura degli arresti domiciliari e del divieto di dimora nella provincia di Crotone nei confronti di 8 indagati.

Il comune di Petilia Policastro

Le persone coinvolte sono ritenute responsabili, a vario titolo, di peculato, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, corruzione in atti giudiziari, concussione e violenza sessuale. L’inchiesta riguarda fatti relativi all’amministrazione comunale di Petilia Policastro, comune calabrese in provincia di Crotone.

Domiciliari per sindaco Amedeo Nicolazzi

C’è anche il sindaco di Petilia Policastro, Amedeo Nicolazzi, tra le 8 persone indagate dalla Procura.

Il primo cittadino è accusato di concussione sessuale in un’inchiesta che nei mesi scorsi era stata raccontata dal Quotidiano del Sud: il 27 luglio 2018 una madre che si era rivolta a lui per trovare un posto di lavoro al figlio aveva – scrive il giornale – subito delle molestie sessuali.

Nei confronti di Nicolazzi, il gip ha emesso un’ordinanza agli arresti domiciliari che non è stata eseguita in quanto il sindaco è ricoverato in un ospedale romano perché colpito dal Covid. Le sue condizioni sarebbero gravi. È indagato per concussione e violenza sessuale. Un provvedimento di arresti domiciliari è stato emesso anche nei confronti dell’ex vicesindaco, Francesca Costanzo.

Divieto di dimora nella provincia di Crotone invece per Palmo Garofalo (imprenditore edile), Antonio Curcio (consigliere di maggioranza), Marilena Curcio (ex componente dello staff del sindaco), Vincenzo Ierardi (assessore ai Lavori pubblici del Comune di Petilia), Sebastiano Rocca (tecnico del Comune di Petilia) e Domenico Tedesco (direttore del dipartimento di Prevenzione dell’Asp di Crotone).

Il sindaco di Petilia Policastro, Amedeo Nicolazzi

Le indagini

Secondo gli inquirenti, i pubblici amministratori e il dipendente del Comune di Petilia Policastro, in più occasioni dall’aprile al dicembre 2018, si sono appropriati arbitrariamente o comunque hanno distratto dalle loro finalità alcune derrate alimentari rientranti nel cosiddetto progetto “Lotta alla povertà”, per il quale il Comune di Petilia aveva sottoscritto una convenzione con il Banco delle Opere di Carità.

Era stato stabilito che i beni alimentari venissero distribuiti per il sostegno delle persone indigenti. Diversi invece sono stati i pacchi viveri distribuiti non a soggetti bisognosi e ricompresi negli appositi elenchi, ma ad amici e conoscenti e addirittura, in alcune occasioni, anche a persone appartenenti alla locale criminalità.

Il reato di corruzione

Le indagini hanno altresì permesso di acquisire gravi indizi in relazione ad un episodio di corruzione verificatosi il 21 novembre 2018 a Crotone. In quella data, in un bar, due amministratori e un tecnico comunale del Comune di Petilia, su mandato del sindaco, si sono accordati con un dirigente del Dipartimento di Prevenzione dell’Asp di Crotone, affinché, ricevuti alcuni beni alimentari quali olio e castagne, questi provvedesse a diminuire, arbitrariamente, un’ammenda di circa tremila euro.

La sanzione era stata elevata, il 15 novembre 2018, da due ispettori della stessa Asp, i quali avevano rilevato in un cantiere comunale delle violazioni in materia di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. La modifica del verbale aveva comportato una riduzione della sanzione pecuniaria e un indebito vantaggio nell’ambito di due procedimenti penali instaurati presso la Procura della Repubblica di Crotone, per il Responsabile dei lavori e il titolare dell’impresa edile che stava svolgendo i lavori.

Lea Garofalo

Negli ultimi anni, il nome di Petilia Policastro è noto in tutta Italia in quanto paese d’origine di Lea Garofalo, testimone di giustizia che, avendo scelto di denunciare le barbarie della ‘ndrangheta, venne fatta assassinare a Milano dal mafioso policastrese Carlo Cosco, già suo marito il 24 novembre del 2009.

In particolare, Lea, interrogata dal Pubblico ministero Antimafia Salvatore Dolce, parlò dell’attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie al benestare del boss Tommaso Ceraudo. Inoltre, Lea dichiarò al Pubblico ministero “L’ha ucciso Giuseppe Cosco (detto Totonno U lupu), mio cognato, nel cortile nostro”, attribuendo così la colpa dell’omicidio di Floriano Garofalo al cognato, Giuseppe, detto Smith e all’ex convivente, Carlo Cosco, e fornendo anche il movente.