Coronavirus, quel rischio delle violenze intrafamiliari

Uno sguardo necessario sui comportamenti imprevisti dalla scienza che scaturiscono da situazioni di stress, in una quotidianità ormai priva di "approdi sicuri"

L’epidemia da Coronavirus sta devastando e mettendo in ginocchio l’Italia e il resto del pianeta. Si tratta di un “mostro invisibile”, di cui non si conosce quasi nulla. Il dato concreto è che sta causando la morte di migliaia di persone, obbligando le Autorità di varie Nazioni a mettere in atto misure drastiche, mai promulgate dopo la seconda guerra mondiale, pur di fronteggiare e sconfiggere questo “terribile e inaspettato nemico”.

Siamo bombardati ogni giorno da bollettini di contagi, di ricoveri e di defunti, che aumentano a dismisura. Ci siamo sentitamente “commossi” alla vista dei mezzi militari incolonnati durante il trasporto delle tante bare di nostri concittadini. Le regioni del nord sono quelle, allo stato attuale più devastate, in particolare la Lombardia. Siamo tanto vicini, a chi, così dolorosamente è venuto a mancare e ai loro cari, che non hanno potuto dare loro neanche un ultimo bacio, una lieve carezza, fare una preghiera e lasciare sulla tomba nemmeno il profumo di un solo fiore. Proviamo uno straziante dolore, che non può essere come il loro, ma lo sentiamo vivo palpitare dentro di noi!

Anche il Governo italiano, per far fronte a questa grave situazione, ha emanato una serie di provvedimenti sempre più stringenti, ma considerati dagli esperti necessari per isolare il Covid19 e limitarne la sua contagiosità e la sua distruttività. Misure che, nel corso dei giorni, sono sempre state più rapidamente restrittive, non ultime quella di chiudere tutte le attività e le imprese non vitali, tra cui, lo stop di tutte le attività sportive agonistiche, l’interruzione del campionato calcistico, delle passeggiate e corse all’aria aperta, consentite solo a ridosso dalla propria abitazione, questo non solo per evitare di mettere a rischio la salute propria e degli altri, ma anche per non intasare, in presenza di infortuni, ancora di più gli ospedali già sotto pressione e, nelle regioni del nord Italia, quasi al collasso. Un Sistema Sanitario, quello italiano, che ha visto, anno dopo anno, subire tagli vistosi; un sistema che non ha consentito di acceder all’università tutti coloro che volevano intraprendere le facoltà sanitarie, nominando come dirigenti delle Asl o dei reparti nelle strutture ospedaliere, non solo i più competenti e capaci, ma, fra questi, gli appartenenti ai “cerchi magici”.

Privo di mezzi, sottorganico, senza adeguate attrezzature di ultima generazione, il nostro Sistema ha comunque dimostrato di essere un’eccellenza nel mondo, un’eccellenza italiana! Sono tutti i protagonisti del Sistema Sanitario a testimoniare, come a costo della propria vita, nonostante le carenze e le difficoltà, autenticamente, si possa operare per il bene comune!

Sono quindi tante le misure fin qui adottate tra le quali il divieto di uscire di casa, che interrompe il quotidiano, abitudinario stile di vita di ciascuno di noi. Rimanere ora in casa, e infatti “noi non usciamo”, ha indubbiamente portato un incremento di emozioni ansiogene, che spesso possono sfociare in veri e propri attacchi di panico, in un senso di profondo smarrimento, di crescente angoscia, di nullità e di inadeguatezza! Dove il buio sembra avvolgerci, per risucchiarci in un pozzo profondo!

Da un lato il Coronavirus “senza volto” ,“sconosciuto”, dove la stessa Scienza resta ancora basita dinnanzi alla velocità del suo propagarsi e all’inaudita violenza con la quale contagia qualsiasi popolazione. Se da un lato non abbiamo ancora un vaccino, dall’altro le tante misure restrittive che ne conseguono non ci consentono di scampare al pericolo né tantomeno di fronteggiarlo. Tali misure hanno reciso le nostre abitudini, hanno abbattuto le piccole o tante certezze che avevamo, che, ai nostri occhi, rappresentavano quegli “approdi sicuri” che consentivano di superare le difficoltà o le frustrazioni quotidiane. Tutto questo non è più possibile! Sembra di vivere in un incubo da cui non potersi risvegliare!

La letteratura ci insegna che quando la frustrazione e la rabbia che ne discende non può trovare sfogo, allora si può anche incanalare in comportamenti, in agiti e in reazioni non usuali, sconosciuti sino a quel momento a noi e persino alla Scienza. Quest’ultima non è in grado di classificare molti comportamenti che scaturiscono dalle situazioni stressanti, dove non si conosce il limite, dove le informazioni non sono chiare e talvolta contraddittorie.

Di certo questa chiusura “forzata” nelle proprie abitazioni ha rappresentato per molte famiglie un’occasione per ritrovarsi, per condividere momenti di una felicità rinnovata, per scoprire improvvisamente che c’è un limite alla vita e che nulla è scontato o dato per sempre!

Tante mamme, tanti papà, molti bambini e adolescenti e anche nonni, hanno avuto la possibilità di guardarsi negli occhi, utilizzando un linguaggio molto più profondo, quello del non detto, di giocare insieme, di addormentarsi con le favole della buonanotte e di abbracciarsi per intere giornate. Ma di quale famiglia parliamo? Sono così tutte le famiglie? Sono solo quelle del Mulino Bianco?

Purtroppo esistono contesti familiari entro i quali sono maggiormente le donne a subire quotidianamente forme di violenza, psicologica e fisica. Ciò avveniva già prima dell’avvento della pandemia; le denunce, infatti, rappresentano solo la punta dell’iceberg. Le cause di questo fenomeno sono più che notorie e non stiamo qui ad enuclearle. Certo è che il tasso di violenza domestica e intra familiare tende ad aumentare nei periodi invernali a causa delle intemperie che costringono a stare a casa. Sappiamo che la violenza aumenta nelle persone che vivono in case isolate dalla comunità, dove i rapporti sociali sono rari, oppure esplode dove più persone sono costrette a condividere spazi abitativi limitati. Questi e altri fattori, spesso interagenti tra loro, aumentano e fanno esplodere comportamenti violenti, particolarmente in soggetti dalle personalità rigide e controllanti, privi di autostima, di autonomia. Il rischio è che tali condotte aumentino ancora di più fra le persone che non hanno avuto, soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza, pratiche di socializzazione volte ad educare “la gestione dell’aggressività” e la “frustrazione”. Proprio per questo motivo la loro resilienza è debole e i loro schemi cognitivi non consentono di regolare le emozioni e di mettere in atto comportamenti adeguati. Il loro agire è caratterizzato dalla totale inibizione di una consapevolezza volta a comprendere come le proprie azioni, e le le emozioni che ne derivano, possano provocare alle persone oggetto tanto dolore, tanta paura e tanta solitudine. Le esperienze infantili negative interrompono processi armoniosi di crescita personalitaria e di identità sia individuale che collettiva, per cui l’anaffettività la fa da padrona. Sono i bambini e gli adolescenti che vivono queste situazioni a pagarne il prezzo nel corso di tutta la loro vita.

Ora più che mai le donne già vittime di usuale violenza sono costrette a vivere tutto il giorno a casa, quel luogo che, secondo lo psicologo Bowlby, rappresenta il “porto sicuro”. Ma nel porto sicuro non c’è sempre il capitano buono; ne esistono anche altri, spesso invisibili per la collettività. Sono capitani maltrattanti, che sottoposti a situazioni stressanti, come quella attuale, sfogano ancora di più la loro rabbia verso le persone che dovrebbero invece proteggere e amare. Per scaricare allora la rabbia e l’impotenza accresciute, il padre padrone e/o la madre padrona utilizzano come unico scarico compensativo la violenza, sia diretta che indiretta, ma anche quella interpersonale: la forma più subdola ma più penetrante, che lascia ferite spesso non cicatrizzabili. A chi chiedere aiuto allora se non si può uscire? A chi confidare il proprio malessere se non si può incontrare nessuno?

La conseguenza è che la società liquida di baumaniana memoria scorrerà ancora più veloce, spinta dalla violenza di chi, posto in isolamento, non vedendo alcuna via di uscita, non può neanche più indossare la maschera pubblica della brava persona.

Le denunce di violenza domestica e intra-familiare dal 1 gennaio al 15 marzo 2020 che si attestavo, secondo alcuni dati, a 6283, sono negli ultimi 20 giorni crollate. Le conosciute emozioni di paura, di vergogna, di senso di colpa, i pregiudizi e le inibizioni culturali sono vorticosamente ingrandite a causa del Coronavirus, stante un vivere insieme 24H.

Sono quindi sufficienti i provvedimenti presi dal Governo che interessano anche le attività degli enti del terzo settore, per i tanti volontari e operatori impegnati in questi giorni a fronteggiare l’emergenza? E per coloro che ogni giorno svolgono attività a sostegno delle proprie comunità? O la risposta alle richieste dei più deboli su Covid-19 è lasciata, per lo più, alle tante manifestazioni di solidarietà promosse dai Comuni e a gare di solidarietà che negli ultimi giorni e nelle ultime ore vede mobilitati, in tutta Italia, centinaia di ragazzi che si sono offerti di portare cibo, medicine e generi di prima necessità alle persone più fragili e agli anziani confinati nelle loro case? E perché non estendere a tutta Italia la decisione del procuratore di Trento, Sandro Raimondi, che stabilisce in caso di violenza domestica, che non saranno più le donne e i bambini a dovere lasciare la casa bensì gli uomini maltrattanti, non solo per non esporre i più deboli al rischio Covid-19, ma anche per non aggiungere violenza alla violenza?

Per questo chiediamo al Governo e ai Ministri di competenza di riunire un tavolo tecnico e strategico con le associazioni del terzo settore, oggi più che mai impegnate duramente in questa fase emergenziale, per favorire provvedimenti e misure in grado di rispondere più conformemente ai fabbisogni delle nostre cittadine e cittadini colpite più duramente e che stanno affrontando un’emergenza nell’emergenza.

In attesa che il Governo possa adottare nelle prossime ore provvedimenti meno “timidi” noi come Associazione Consolidal, ci rivolgiamo intanto alle donne, alle madri e a tutte le persone che vivono la violenza quotidiana: rivolgetevi alle forze di Polizia! denunciate i maltrattamenti! Non abbiate paura o vergogna, anche perché, grazie alle normative di questo nostro Paese non c’è Coranavirus che inibisca il vostro allontanamento da quella prigione già troppo conosciuta, che ora diventata anche il luogo di interminabile e costante dolore.

Chiamate il numero verde di Telefono Rosa 1522, sempre attivo e operante sul tutto il territorio nazionale e disponibile anche in forma di applicazione scaricabile su ogni smartphone o tablet. Rivolgetevi altrimenti, anche ai tanti Centri antiviolenza, dislocati nei comuni di appartenenza, sono tutti i servizi attivi 24hsu 24h.

Sappiate che non siete sole o soli. Per favore chiedete aiuto e denunciate, solo così potete riassaporare quel senso di libertà e quella dignità che per troppo tempo vi è stata negata.

Ma la nostra Sezione romana di Consolidal vuole rivolgere un altro appello e questo lo rivolgiamo ai maltrattanti. Anche voi fatevi aiutare, rivolgetevi ai Centri dedicati, sciogliete quei vincoli culturali che vi legano e concedete anche a voi la possibilità di ritrovare quell’anima, presente in ognuno di voi, che ora è alienata.

Serenella Pesarin
Sociologa, Psicologa – Psicoterapeuta, esperta nel settore penale e minorile, Presidente “Consolidal sezione romana”