Come evolve l’industria ai tempi della pandemia

Intervista di Interris.it ad Andrea Famiglietti, uomo d'industria ed esperto di risorse umane sugli effetti della crisi Covid nella riorganizzazione interna delle imprese

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“La pandemia crea l’occasione per trovare soluzioni condivise su argomenti che da tempo richiedono un approfondimento ed un intervento integrato. E ciò affinché il mondo del lavoro rimanga efficiente e si amalgami con rapidità ai mutamenti della realtà economica e produttiva”, spiega a Interris.it Andrea Famiglietti, esperto di risorse umane con una lunga esperienza lavorativa in multinazionali dell’industria.

La metamorfosi dell’industria

Con Andrea Famiglietti Interris.it affronta innanzi tutto una questione fondamentale. E cioè l’incidenza dell’emergenza Covid nell’evoluzione delle relazioni industriali. Spiega Famiglietti: “Datori di lavoro e sindacati potrebbero sfruttare il momento per creare regole precise per la gestione dello smart working nelle contrattazioni di primo e secondo livello in particolare. Inoltre, si potrebbe rivedere il modo in cui si definiscono i livelli di inquadramento e le competenze che integrano le diverse qualifiche e categorie di legge. E’ chiaro che oggi l’impiegato non è più il routinario “travet” di qualche decennio fa, ma possiede strumenti di lavoro e competenze che ne aumentano di molto la flessibilità, sia in termini di orario di lavoro che di gestione da parte dell’imprenditore”.Come si inseriscono le attuali politiche del personale nei cambiamenti di processi produttivi sempre più tecnologizzati?

“E’ un tema decisivo. Il modo in cui le prime saranno armonizzate ai secondi deciderà buona parte dei prossimi decenni. Da una parte sarà fondamentale indirizzare la formazione verso materie ed abilità vicine alla progettazione e all’ implementazione tecnologica. Dovremmo poi entrare nell’ottica di gestire il tempo liberato dalla tecnologia, là dove non sarà più fondamentale l’intervento umano. Che faremo? Saremo capaci di supportare la forza lavoro nel percorso di riqualificazione verso mestieri mai considerati prima? Oppure creeremo un sistema che, liberando l’uomo da qualche ora di lavoro, riesca comunque a retribuirlo come prima, ponendo le basi per un innovativo progresso materiale e spirituale della società, come peraltro ribadito dalla nostra Costituzione all’articolo 4? Queste sono domande che ancora mi pongo, ma per le quali, al momento, non ho ancora incontrato interpreti e risposte credibili”.E’ ancora l’irripetibile unicità dell’essere umano la variabile più imprevedibile e preziosa di un sistema economico?

“Il sistema economico riflette la maturazione e l’evoluzione dei rapporti umani, delle esigenze materiali e spirituali dell’essere umano. In questo momento le prime sembrano prioritarie rispetto alle seconde, in particolare per l’indebolimento progressivo dei meccanismi politici dopo la vittoria del capitalismo “trionfante” degli anni 90 del secolo scorso. Sarebbe auspicabile un ritorno della politica anche nelle sue forme più capillari e di prossimità, per rimettere al centro la discussione su dove indirizzare lo sviluppo economico e su come renderlo compatibile con desideri che non siano semplicemente legati al progresso tecnologico, ma che accolgano istanze di maggiore sostenibilità finanziaria, ambientale e psicologica. Se questo non avverrà in tempi congrui rischiamo di creare una civiltà dove il rapporto di forza potrebbe essere ribaltato e nel quale i cittadini del mondo non solo occidentale diverranno di fatto funzionari di un superiore apparato tecnico”.Nel libro “Correndo con il diavolo” (Aldenia edizioni) confluiscono le sue esperienze nel mondo dell’industria, in che modo la globalizzazione ha cambiato il mondo del lavoro?

Prima che l’impero comunista crollasse, mettendo in crisi anche la tradizione di welfare socialista europeo, fino ad allora ben armonizzato con l’impianto liberista occidentale, il mondo era diviso in due blocchi, di cui uno era in competizione ideologica con l’altro, nel tentativo di sostituire la libera competizione economica con un approccio pianificato e maggiormente protettivo per la collettività. Questo determinò una sorta di privilegio per l’occidente capitalista, perché una buona fetta di mondo produttivo giocava con altre regole e la competizione era soprattutto filosofica ed ideologica. Con la globalizzazione, invece, tutti gli attori dell’est comunista, europeo ed asiatico, fino ad allora rimasti fuori dalla porta, hanno fatto irruzione, nella stanza reclamando una fetta della torta, che però è sempre la stessa… La difficoltà dell’occidente nel rimanere competitivo e conservare la propria supremazia industriale e finanziaria nasce da una competizione molto dura con nuovi competitors popolati da professionisti, operai e industriali molto affamati di successo e spesso ben preparati proprio da quella tradizione socialista da cui provengono i loro padri”.