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Biden si congratula per la vittoria e invita Trump alla Casa Bianca

Bush si congratula con Trump e ringrazia Harris. Democratici sotto shock, dito puntato contro Biden. Tanti gli errori dei big, scatta la resa dei conti nel partito

Joe Biden ha parlato con Donald Trump e si è congratulato per la sua vittoria. Il presidente ha invitato Trump alla Casa Bianca per un incontro. Lo riferisce un funzionario dell’amministrazione citato dall’agenzia Bloomberg, secondo il quale Biden parlerà domani al paese sul risultato delle elezioni e della transizione

Il presidente in carica Biden ha parlato con Kamala Harris e si è congratulato per la sua campagna. Lo riferisce un funzionario dell’amministrazione, citato dai media.

Anche l’ex presidente George W. Bush, che non aveva dato alcun endorsment per la Casa Bianca 2024, si è congratulato con Donald Trump per la vittoria e ha aggiunto che la forte affluenza alle urne è stato “un segno della salute della nostra repubblica e della forza delle istituzioni democratiche”. Bush ha poi ringraziato Kamala Harris e Joe Biden “per il servizio reso alla nazione”. A differenza dell’ex presidente, il suo vice Dick Cheney e la figlia Liz avevano appoggiato la candidata Dem. Liz Cheney e la direttrice delle comunicazioni della Casa Bianca all’epoca di Bush, Nicolle Wallace, lo avevano invitato a esprimersi pubblicamente a favore di Kamala.

I democratici sotto shock rivivono l’incubo del 2016, e stavolta il day after è se possibile ancora più doloroso. La ferita della sconfitta di Kamala Harris è ancora aperta, ma la resa dei conti nel partito è già scattata. Il maggior indiziato per la batosta è Joe Biden: il presidente, è la tesi di molti fatta trapelare anche da una fonte anonima della campagna di Harris, ha “una grossa responsabilità” per essersi ostinato a restare in corsa per mesi, costringendo i democratici a rimuoverlo quasi di forza dopo la debacle nel duello tv contro Donald Trump. Responsabilità condivisa peraltro, secondo gli osservatori, anche dei vertici dell’asinello, incapaci di opporsi al presidente un anno fa, quando non gli impedirono di ricandidarsi. Harris, nei poco più di tre mesi a sua disposizione, ha cercato di fare il miracolo scontrandosi con molti papaveri del partito (compreso forse lo stesso Biden) che avrebbero preferito delle mini primarie piuttosto che la sua investitura. E le tensioni interne hanno alimentato quelle fra lo staff di Harris e la campagna del suo capo, sulla quale la vicepresidente si è per forza di cose dovuta appoggiare per la rincorsa. Le incomprensioni sono state evidenti fin dall’inizio, con molti fedelissimi del presidente costretti a tirare la carretta per una candidata in cui non hanno mai creduto. Da parte sua anche Kamala ha commesso diversi errori: pur cercando di distanziarsi da Biden – uno dei presidenti meno amati, precipitato ad appena il 39% di consensi -, non è riuscita a prenderne davvero le distanze e ad imporsi come alternativa credibile, nonostante per lei si siano spesi soprattutto alla fine personalità del calibro di Nancy Pelosi (forse quella che ha spinto di più per il siluramento di Biden) e Barack Obama. Per l’ex presidente in particolare, la debacle di Harris è un duro colpo che ridà fiato a chi lo accusa da tempo di non essere stato capace di formare una nuova generazione di leader dem, malgrado gli otto anni trascorsi alla Casa Bianca. E non va meglio a un altro padre nobile del partito, Chuck Schumer, al quale viene tra l’altro imputata la conquista della maggioranza in Senato da parte dei repubblicani. In questo clima di veleni, i critici più maligni osservano comunque come alcuni all’interno del partito potrebbero non essere particolarmente delusi dalla sconfitta. Alcuni si spingono ad immaginare una certa ‘soddisfazione’ covata da Hillary Clinton, che non avrebbe sopportato vedere un’altra donna rompere quel soffitto di cristallo che era il sogno della sua vita. Altri invece pensano ai papabili aspiranti democratici alla Casa Bianca per il 2028, dalla governatrice del Michigan Gretchen Whitmer a quelli di California e Pennsylvania, Josh Shapiro e Gavin Newsom: una vittoria di Harris li avrebbe bloccati per otto anni, ora invece possono guardare con più speranza al futuro. Anche per loro però il problema cruciale resta quello di rifondare un partito che non sembra più in grado di parlare agli americani. 

Fonte Ansa

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