UTERO IN AFFITTO PER UN PUGNO DI DOLLARI

Utero in affitto, madre surrogata, bambini che non sanno più chi sono i genitori o che a volte si ritrovano ad essere, alla stregua di un oggetto, contesi da due mamme e due papà. È ciò che accade quando il bisogno spasmodico di avere un figlio prevale su tutto. Charlie, il nome è di fantasia, è un neonato di pochi giorni che ancora non sa chi saranno i suoi genitori.

Tutto inizia da un gruppo chiuso su Facebook, creato appositamente per favorire l’incontro di acquirenti e venditori, dove rivolgendosi all’amministratrice è possibile trovare una giovane donna che è disposta affittare il suo utero. Così ad una coppia di omosessuali viene presentata Jennifer (anche per lei è stato usato un nome di fantasia) una ragazza poco più che ventenne, con un figlio e un compagno. La coppia di uomini e la ragazza si incontrano in un fast food ed è sufficiente solo una mezzoretta per stipulare il contratto: alla ragazza verranno pagate 9 mila sterline per l’affitto del suo utero, dove verranno impiantati due embrioni.

Durante quel primo incontro a Jennifer vengono consegnate 99 sterline per una prima visita medica che certifica la sua salute uterina, poi le viene spiegato che avrebbe dovuto assumere una serie di medicinali per cercare di agevolare l’attecchimento degli embrioni. Tra questi, anche un ormone chiamato buserilin che la ragazza si è iniettata senza consultare un medico, anche se c’era il rischio di allergie. Fortunatamente tutto procede per il meglio. Inizia così il viaggio verso la clinica per il trasferimento degli embrioni, che si conclude con la gravidanza gemellare; ma la coppia non mantiene la parola data e salta il primo versamento pattuito, 500 sterline.

Poco tempo dopo Jennifer viene contatta, attraverso lo stesso gruppo di Facebook, da una donna che le confida che in passato la stessa coppia di uomini si era rivolta a lei, sempre per una gravidanza gemellare, e che poi non le avevano corrisposto l’importo concordato. Nel frattempo Jennifer inizia a sentirsi male, e dopo essere stata ricoverata, scopre di aver abortito spontaneamente uno dei gemelli. L’esperienza la sconvolge a tal punto che decide che il bimbo che è ancora vivo nel suo grembo sarebbe cresciuto con lei e con la sua famiglia. Con l’aiuto della donna che li aveva fatti incontrare, decide di mentire al padre biologico del piccolo, dicendogli che i gemelli erano entrambi morti.

Ma due settimane prima del parto Jennifer viene informata che i due uomini avevano sporto una denuncia contro di lei perché aveva raccontato una bugia, così Charlie, ancora prima di nascere si era trasformato in un “caso””. Secondo la legge inglese che permette l’utero in affitto, ma solo se la madre surrogata viene pagata meno di 15 mila sterline, la donna avrà la custodia del neonato fino a quando non firmerà una disposizione che riconosce i due uomini come genitori legali del bambino.

Un bivio davanti al quale Charile, qualunque sia la strada decisa, perderà un genitore: la madre, nel caso di affidamento alla coppia gay, il padre, se resterà con Jennifer. Uno schiaffo al buonsenso.
Ecco i guasti che un dissennato uso della scienza medica portano all’essere stesso della natura umana. Sempre più spesso si ricorre all’utero in affitto e alle madri surrogate, come se i bambini fossero una qualsiasi merce da poter acquistare. Chi si trova in una posizione economica agiata, molto spesso si rivolge a donne in situazioni economiche difficili, viene stipulato un vero e proprio contratto che tuteli sia i diritti dei futuri genitori che quello della donna che dovrà portare avanti la gravidanza. Ma i diritti dei bambini, chi li tutela?