SPRECHI D’ITALIA: ELEZIONI DA RIFARE, E IO PAGO…

“Tanto paga Pantalone”. Nell’Italia degli sprechi e della burocrazia imperante, questa frase è diventata il simbolo delle inefficienze e dei soldi pubblici utilizzati impropriamente, in maniera truffaldina oppure semplicemente sciatta. Per anni gli sprechi delle pubbliche amministrazioni hanno tenuto banco nella vita amministrativa senza che nessuno sentisse l’esigenza di moralizzare.

Poi è arrivata la crisi, i tempi sono cambiati, e molti di questi casi sono stati oggetto di inchieste giornalistiche e indagini della magistratura. Chi pensava che fossimo però arrivati a un punto di svolta si è sbagliato. Non solo gli sperperi esistono ancora, ma nel Paese degli azzeccagarbugli spesso non c’è neanche modo di recuperare i soldi della collettività spesi inutilmente. Senza considerare i danni che provoca la burocrazia. Un cocktail micidiale tra inefficienze, superficialità e rigore che presenta il conto sempre e solo alle stesse persone: i cittadini.

Uno degli ultimi casi è stato evidenziato da una sentenza della Corte dei Conti (la n.173 del 2015), e riguarda un paesino in provincia di Grosseto, Gavorrano. Tutto nasce nell’ambito delle ultime elezioni amministrative per il Comune. Tra i candidati c’era anche un dipendente dell’ente locale, che per legge avrebbe dovuto chiedere di essere collocato in aspettativa prima di concorrere alla carica di sindaco. Ma la burocrazia fissa dei tempi netti, entro il quale tale operazione può essere fatta. Il termine ultimo era – nel caso specifico – il 18 aprile. Il 20 aprile l’atto è stato formalmente compiuto, dunque ben prima del voto, ma dopo il termine utile. E l’escamotage di farlo risultare retroattivo, con decorrenza 1 aprile, non è stato giudicato dai giudici legittimo. Fatalità delle date: uno “scherzo” che al Comune è costato quasi centomila euro. Già, perché quel candidato è risultato poi eletto sindaco, ed ha iniziato a svolgere le proprie funzioni. Contemporaneamente però andava avanti la verifica di ineleggibilità che puntualmente è arrivata. Uno schiaffo al buon senso.

Così si è dovuta riprogrammare l’intera tornata elettorale, con tutti i costi che ciò comporta: organizzazione della “macchina” amministrativa, scrutatori, giornate di presenza per carabinieri, finanza e guardia forestale ai seggi, forniture dell’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato.

“Se da un lato è vero che la brevità del ritardo – scrivono i giudici in sentenza – rende circoscritto il potenziale inquinamento della campagna elettorale e l’alterazione della par condicio tra i candidati, dall’altro non può tuttavia sottacersi che la giurisprudenza in materia è costante nel ritenere perentorio il termine in questione”.

Dunque anche se è del tutto evidente che un cambio di data non ha inficiato in alcun modo la regolarità sostanziale delle elezioni, resta il problema della regolarità formale. Tutto da rifare, dunque. E dato che una causa è ben definibile, e cioè il ritardo del poi futuro sindaco a presentare la richiesta d’aspettativa, la Prefettura ha richiesto l’intervento della Corte dei Conti. In sostanza, si voleva far pagare a chi aveva commesso quell’errore, e pur sapendolo ha insistito nel presentarsi alle elezioni, il conto della doppia tornata.

I magistrati però, pur condannando il politico di turno al pagamento delle spese, hanno considerato che il periodo trascorso da sindaco, se pur illegittimo, andava comunque pagato. E che quello stipendio erogato a chi non poteva formalmente averne titolo, andava comunque erogato. Per farla breve, se l’è cavata con 16 mila euro di condanna, chiusa così la questione.

Una storia simbolo, accaduta in un piccola città italiana, ma che rappresenta la cartina di tornasole di tutto – ma proprio tutto – ciò che non va nel nostro Paese. Dove la burocrazia complica inutilmente, la politica se ne frega, la giustizia condanna ma non troppo, stretta com’è anch’essa dai mille lacciuoli del diritto. In questo corto circuito a farne le spese sono alla fine solo i cittadini, ignari delle disposizioni di legge, impossibilitati al controllo, semplici spettatori di tutto questo. Ma spettatori paganti, s’intende.