SPORT E RELIGIONIUN VELO DI IPOCRISIA

[cml_media_alt id='7285']sport e religioni[/cml_media_alt]Chi l’ha detto che per scendere in campo bisogna rinunciare alle proprie tradizioni? Chadida Sekkafi è riuscita a conciliare la grande passione per lo sport alla sua fede religiosa. La 17enne, figlia di genitori marocchini, ha sfatato diversi falsi miti: donna, straniera, musulmana e arbitro di calcio. E’ la prima direttrice di gara in Italia ad indossare il velo che le avvolge dolcemente i capelli, girando intorno al collo, le decora il volto. I genitori hanno dato il nulla osta alla sua partecipazione al corso da arbitri, brillantemente superato e ora Chadida fa parte della sezione cremonese dell’Aia che non è nuova a questo genere di esperienze: raccoglie altre 7 ragazze. Tutte impegnate in campo dopo aver vinto la partita più importante: quella dei pregiudizi. Ma non funziona sempre così.

Dall’altro capo del mondo, infatti, ancora si combatte per ottenere il rispetto della propria cultura. Lo sanno bene le atlete della nazionale di basket femminile del Qatar impegnate in questi giorni a Incheon, in Corea del Sud, nei Giochi Asiatici, l’evento quadriennale in cui competono i migliori sportivi orientali. Lo slogan della competizione recita “Qui splende la diversità”, ma resta un motto destinato a decorare bandiere e gadget se non viene applicato. Nel match contro la Mongolia, alle giocatrici qatariote è stato negato il permesso di indossare il hijab durante la partita. Le cestiste hanno così deciso di abbandonare la competizione. Sapevano di non poter scendere in campo con il velo, ma la speranza muore per ultima così hanno tentato ugualmente confidando in un ripensamento della Fiba, la Federazione internazionale di Basket.

Altri Paesi, invece, per il veto sul velo hanno deciso fin dall’inizio di non partecipare alla competizione. Una delle giocatrici Amal Mohamed Awad, ha spiegato quanto è accaduto: “Noi non toglieremo il velo per scendere in campo, è una mancanza di rispetto nei confronti della nostra religione, quindi abbiamo deciso di dare forfait. Non è un indumento pericoloso e non ci sono state date spiegazioni sulle ragioni per cui non avremmo potuto indossarlo”.

La presidente della Commissione degli sport femminili del Qatar, Ahlam Al Mana, ha denunciato la decisione della Federazione come una violazione dei principi olimpionici a tutela della diversità: “Quello che è accaduto va contro il Comitato olimpico internazionale che mira a coinvolgere Paesi di diverse culture”. ”Sono abbastanza convinta – ha aggiunto -che quello che è successo ora possa cambiare rapidamente le regole della Fiba”. E’ sotto esame un cambio di norme secondo cui sarà possibile giocare con lo hijab in partite internazionali: per ora si può fare solo in alcuni tornei locali, fra cui il campionato del Qatar. L’eventuale “via libera” al velo in campo sarà comunque possibile soltanto dopo l’Olimpiade di Rio de Janeiro 2016.

Il calcio, per una volta, sta più avanti degli altri sport: l’Ifab, l’organismo che dal 1886 stabilisce le modifiche alle regole internazionali, dopo due anni di prova ha stabilito che uomini e donne possono portare copricapi durante le partite. Via libera al hijab in campo, dunque. I nuovi ”veli da calcio” sono dei semplici copricapi senza alcuna spilla o altro fermo che possa essere pericoloso durante gli scontri di gioco. C’è solo una limitazione da rispettare: il velo deve essere dello stesso colore della maglietta. Veli di tutti i colori, dunque, proprio come la bandiera della pace. E speriamo sia solo l’inizio.