“SONO DOWN E CE LA FACCIO”

Oggi si celebra la giornata nazionale delle persone con sindrome di Down. Un evento che ha come obiettivo la raccolta di fondi in circa 200 piazze in tutta Italia per finanziare progetti di autonomia sul territorio rivolti a giovani e adulti ma soprattutto abbattere i pregiudizi e favorire la piena inclusione di chi è affetto da questa malattia.

Due storie possono essere emblematiche per avvicinarsi a questo appuntamento con il giusto atteggiamento. La prima viene da Brugnera, paese di circa 10.000 abitanti in provincia di Pordenone, al confine con quella di Treviso. Il protagonista è Francesco Polesello, 21 anni. Una vicenda che è stata raccontata dal padre Maurizio al “Gazzettino”. L’ha definita “fonte di speranza per tutti: bisogna provare senza mai arrendersi. Si potrà anche non riuscire ma non bisogna mai smettere di provare”.

Una determinazione che ha sicuramente trasmesso al figlio, i cui risultati, per chi ha pregiudizi difficili da rimuovere, sono impensabili. Francesco, infatti, si è diplomato, sta valutando l’opportunità di andare all’università e ha ottenuto anche la patente. La dimostrazione che con il necessario sostegno e una volontà ferma si può arrivare a traguardi incredibili. La sindrome venne diagnosticata a Francesco nella prima settimana di vita. Come racconta il papà, a quasi due anni non camminava mentre ora riesce a fare il salto mortale. Da tempo, infatti, pratica la ginnastica artistica acrobatica e si è iscritto a un corso per preparatore atletico.

Di acrobazie in effetti ne avrà fatti parecchi per superare le difficoltà che gli si sono parate davanti. Francesco è riuscito a conseguire il diploma con un buon 82/100 presso l’Istituto Alberghiero Beltrame di Vittorio Veneto nella sezione enogastronomia. Ha avuto il supporto adeguato al suo caso ma nessun regalo. Una situazione che si è ripresentata quando ha coronato un altro sogno, quello di conseguire la patente di guida. Domande, test, visite mediche. Guidare non è uno scherzo, non si fanno sconti. Ma Francesco ce l’ha fatta. Ha raggiunto un obiettivo che gli permette di rendersi sicuramente più autonomo. Per questo Sergio Silvestre, presidente di Coordown, lo ha scelto come simbolo per l’odierna Giornata nazionale. Non si nasconde dietro un dito: sa perfettamente che non tutti riescono a fare quello che ha fatto Francesco ma “a tutti vanno date le opportunità per provarci”.

L’abbattimento dei pregiudizi e l’allargamento degli spazi di autonomia per le persone Down sono due ambiti in cui c’è ancora molto da lavorare. Non serve il pietismo ma la consapevolezza che impegnando tempo e risorse si possono offrire possibilità reali a chi ha questa sindrome e l’opportuno sostegno ai familiari che troppo spesso si fanno carico di affrontare la situazione da soli o con supporti estremamente limitati.

Purtroppo la scarsa attenzione dello Stato nei loro confronti (e di quanti hanno a che fare con un qualche tipo di disabilità) è sotto gli occhi di tutti. Dunque ben vengano iniziative di sensibilizzazione ma bisogna che quanti hanno il potere di intervenire concretamente prestino ascolto alle oggettive necessità di queste famiglie.

Scuola, lavoro, sport. Superare i pregiudizi è possibile. Lo dimostra anche la seconda storia, quella di un’autentica campionessa, Nicole Orlando. La ragazza di Biella a 22 anni ha conquistato quattro medaglie d’oro e una d’argento ai mondiali di atletica per persone con sindrome di Down nei campionati che si sono svolti lo scorso dicembre in Sudafrica. Al punto da essere ricordata anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno. Ora la sua “favola” è diventata un libro, scritto a quattro mani con la collega della Gazzetta dello Sport Alessia Cruciani, uscito il 4 ottobre proprio in concomitanza con la Giornata nazionale. Edito da Piemme, 160 pagine, ha un titolo che è una sintesi perfetta delle aspirazioni delle persone Down: “Vietato dire non ce la faccio”.
Francesco e Nicole ce l’hanno fatta. Ma la loro battaglia non è certo terminata: hanno dimostrato che nessun traguardo è precluso in partenza. Un segno di speranza che va ben oltre la malattia.