Responsabilità civile, la diffidenza dei magistrati

paolo_auriemma_296Tra pochi giorni verrà discusso alla Camera il testo, già approvato dal Senato, sulla responsabilità civile dei magistrati. Ma questi avanzano mille dubbi sulla opportunità di una modifica alla cd. legge Vassalli approvata all’indomani del referendum del 1988. La affermazione secondo la quale ogni categoria tende a tutelare i propri interessi, peccherebbe, in una materia così delicata, di sicura superficialità, ed occorre, quindi, verificare se quantomeno alcune delle perplessità sono fondate.

La questione è ben più complessa di quanto alcuni , banalizzanti, slogan lascino intendere, visto che sussiste una relazione diretta tra il modo in cui uno Stato definisce il sistema della responsabilità dei magistrati e l’effettività del rispetto di alcuni principi fondamentali ineludibili per un sistema giudiziario autonomo ed indipendente, cioè capace di assicurare una adeguata tutela non solo al potente di turno, ma anche al “cittadino qualunque”.

La prima affermazione che i magistrati contestano è quella secondo cui “l’Europa chiede” una riforma che veda la responsabilità civile del singolo magistrato per le proprie decisioni. Così non è perché nelle sentenze del Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) si parla della necessità di un rafforzamento dei diritti del cittadino che, ove lesi, vedranno la responsabilità diretta della Stato che lo ha giudicato. Prova ne sia che in molti Paesi europei, tra i quali il Regno Unito, indiscutibile culla della democrazia, ogni forma di responsabilità civile dei magistrati è espressamente esclusa, e ciò è parimenti previsto in molti altri Stati, mentre negli altri ha applicazione del tutto marginale.

Sgomberato il campo da questo equivoco, la critica principale che i magistrati, ma non solo loro, muovono alla riforma è quella di introdurre nel sistema una serie di meccanismi di valutazione della loro attività professionale che porterebbe a scardinare la regola secondo cui la libertà di decisione del giudice non può esser compressa, pena un immobilismo del sistema che, invece, è funzionale alla crescita dell’intera società.

Orbene la critica che viene posta è quella di introdurre alcune regole limitative della attività interpretativa e valutativa del magistrato, restringendo i limiti delle suo giudizio.Ciò, sempre secondo tale prospettiva, avverrebbe per diverse vie, frustrando il principio del libero convincimento nella analisi e della portata della norma da applicare ed in quella della valutazione critica del materiale probatorio.

Esaminiamo tale secondo profilo a detta dei magistrati, la norma introdotta a modifica della legge preesistente secondo cui il giudice risponderà oltre che nei casi già previsti di “affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento” anche nella ipotesi di travisamento del fatto o delle prove. Questa semplice ultima espressione aggiunta, che al chi non sia esperto di questioni di diritto può sembrare quasi irrilevante, costituisce, secondo chi la contesta, un granello di sabbia tale da inceppare l’intero sistema.

Di fatto il timore è che il concetto di travisamento apra la porta alla possibilità di rivedere la stessa valutazione dei fatti compiuta dal giudice che ha deciso da parte di altro magistrato, lasciando ipotizzare contenziosi a catena tutti fondati su presunta incapacità del precedente giudicante a considerare gli elementi in suo possesso. In altre parole legittimerebbe le parti processuali che non vedono accolta la propria prospettive di ricostruzione storica delle vicende ad agire in giudizio per il risarcimento del danno dolendosi del punto di vista del giudice che ha seguito diverso percorso argomentativo. Una possibilità che i magistrati non vedono come astratta ma che temono come un meccanismo di pressione soprattutto nei casi in cui una delle parti processuali abbia notevole forza economica e voglia imporre il proprio punto di vista, magari in futuri procedimenti innanzi ad altri giudici, che in tal modo potranno esser preventivamente ammoniti.

Se a questo quadro si aggiunge la abolizione del cd “filtro di ammissibilità” che sino ad oggi permetteva attraverso un vaglio preliminare di evitare cause di responsabilità civile per errori dei magistrati infondate anche ad un primo superficiale vaglio, la regola secondo la quale il risarcimento dovuto dal magistrato sarà pari alla metà del proprio stipendio annuo, anzichè quello precedentemente previsto di un terzo, e quella per cui lo Stato condannato per la responsabilità del giudice dovrà trarre a giudizio obbligatoriamente quest’ultimo quale sia stata la motivazione della sentenza di condanna, eliminando la facoltatività prevista dall’attuale normative, ben si comprendono i timori dei magistrati per una riforma che considerano punitiva e che non ritengono finalizzata ad un rafforzamento delle garanzie dei cittadini attraverso un risarcimento con funzione compensatoria degli errori giudiziari, ma, solo, come si legge nella relazione di accompagnamento del disegno di legge, in ragione della “esigenza di un riequilibrio delle posizioni politico-istituzionali coinvolte e del superamento definitivo di un conflitto ancora in corso”, quasi che, sempre secondo i magistrati, a tutto fosse sotteso un ridimensionamento che considerano incostituzionale della propria funzione.

Paolo Auriemma

Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Roma

Già componente del Consiglio Superiore della Magistratura