Non sappiamo proteggere la nostra economia

alessandro vivaldi economiaIl 2014 si è chiuso con i soliti declassamenti economici per il Paese e le sue aziende. Gli asset italiani hanno perso posizioni nel Fortune 500 globale: Eni ad esempio negli indici del 2012 e del 2013 aveva la sua 17° posizione commentata evidenziando gli investimenti in ambito ricerca e sviluppo nonché joint ventures in Russia, in area Scandinava e in aree non propriamente filo occidentali. Nel 2014, sanzioni verso la Russia alla mano, Eni ha perso ben 5 posizioni e qualche settimana fa la controllata Saipem, alla chiusura di South Stream, ha perso il 9% e il 12% del proprio valore in due giorni. Nel frattempo, in ottobre, Sace ha rivisto al rialzo le stime delle perdite italiane causate dall’affaire Ucraina. Davvero questa crociata anti-Putin, portata avanti dall’Ue era necessaria ed inevitabile?

Ciò che il 2014 ha evidenziato è l’incapacità italiana di ragionare in maniera integrata. In Italia manca la cultura – e spesso le competenze e le strutture – per proteggere la nostra economia: dai sussulti geopolitici, ma anche dalle frodi, dalla violazione dei brevetti e dei copyright, da una concorrenza non sempre propriamente corretta, dalle infiltrazioni criminali. Queste strutture votate alla sicurezza del business dovrebbero comunicare con le istituzioni competenti in materia, coordinandosi per proteggere realmente gli interessi italiani in patria e all’estero.

Se poi si riuscisse (utopia!) a coordinarsi anche con Francia e Germania, forse, allora, l’Ue potrebbe tornare ad avere quel ruolo di ago della bilancia che la Storia gli ha assegnato fino ad un decennio fa. Difendere gli asset economici all’estero, difendere anche le PMI che in mercati esteri come quello delle ex repubbliche sovietiche hanno uno sbocco necessario per l’uscita dalla crisi del nostro paese.

Tutelare l’economia anche attraverso la politica estera e dei processi decisionali strutturati appositamente per questo; guardiamo un attimo all’ultimo triennio: le primavere arabe cosa sono state? La Libia, tradizionale partner economico dell’Italia, è in completa anarchia, e le nostre aziende ivi impegnate non solo registrano perdite economiche, ma talvolta anche ingenti danni a strutture e personale. La Siria, altro partner commerciale, è ben peggio: martoriata da una guerra civile in cui i gruppi più estremisti si sono impossessati di ingenti forniture militari statunitensi originariamente destinate ad un’opposizione paraliberale che oggi non esiste più. L’epopea di Maidan si è tramutata in una guerra civile in cui quello che vorrebbe essere uno stato sovrano ha – primo caso nella storia – un governo composto da tre ministri stranieri.

Per ottenere questo splendido risultato, l’economia è stata uccisa da sanzioni che giornalmente disintegrano aziende e famiglie. Ad oggi finanza e agenzie di rating sono il proseguimento della guerra, questo è palese ai più; Italia e Unione Europea devono sviluppare delle politiche difensive integrate e dinamiche. La soluzione è in realtà a portata di mano: creare la cultura, le strutture e i processi volti a proteggere davvero gli interessi del Paese, a livello istituzionale e a livello aziendale, smettendola di sottostare a sudditanze psicologiche post guerra fredda. Prima ancora di rilanciare la nostra economia, anzi, per farlo, dobbiamo imparare a proteggerla.

Alessandro Vivaldi
Analista economico
(www.agatos-syntagma.it)