MONSIGNOR ARENAS: “ECCO QUALE COLOMBIA TROVERA’ IL PAPA”

 

Quello che inizia domani sarà il terzo viaggio di Papa Francesco in Sud America, dopo quello per la Gmg in Brasile del 2013 e quello del luglio 2015 in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Questa volta il Pontefice si recherà in Colombia. Il segretario del Pontificio consiglio per la Nuova Evangelizzazione, monsignor Octavio Ruiz Arenas, vescovo emerito di Villavivencio, una delle città in cui si recherà Francesco, ha accettato di parlare di questa visita in esclusiva con In Terris.

Eccellenza, che Paese troverà il S. Padre dopo gli accordi di pace con le Farc?

“Un paese che purtroppo è ancora un po’ diviso al riguardo, perché il modo in cui è stato fatto non è considerato da molti il più giusto poiché non è stata sentita tanta gente che dice ‘vogliamo la pace ma in un modo un po’ diverso’. Sembra che ci sia un po’ di impunità, che le vittime non siano state ascoltate e quindi troverà un Paese che vuole veramente la pace ma in cui c’è, per così dire, qualche sentimento di dispiacere per il modo in cui si sta portando avanti. Però la volontà di pace, di collaborazione, di cercare la riconciliazione e il dialogo mi sembra ci sia dappertutto”.

Il Pontefice va in Colombia proprio per incoraggiare questi sforzi. Tuttavia la Chiesa locale non è stata compatta nel sostenere il sì al referendum sul primo accordo. Quali sono i maggiori ostacoli a una completa pacificazione del Paese? C’è ad esempio il nodo della giustizia nei confronti di chi si è macchiato di crimini atroci.

“La Chiesa è divisa non tanto per il problema della pace come tale ma proprio per il modo in cui sono stati portati avanti la firma dell’accordo e il referendum. Si vede che tante voci che si oppongono non sono state prese in considerazione. Non si tratta di questioni politiche, sappiamo che c’è una divisione troppo forte (tra il presidente Santos e il suo predecessore Uribe, ndr) e l’episcopato non è entrato in quello, ma vedendo le vittime, tanta gente che ha grossissime necessità e il governo che non si preoccupa di loro, allora i vescovi dicono ‘Un momento, la giustizia deve essere per tutti’. D’altra parte fare la pace non significa soltanto firmare un documento ma attaccare le cause che hanno portato a questa violenza così forte per tantissimi anni: l’ingiustizia, la corruzione, la distribuzione iniqua dei beni, la ricchezza di pochissimi e la povertà della grande maggioranza… quindi se non si attaccano le cause ma si pensa solo alla firma di un documento, la pace non sarà mai arrivata”.

Come si stanno preparando i colombiani all’incontro con Francesco?

“C’è una preparazione molto interessante. Sono stato recentemente in Colombia e ho visto che c’è davvero un ambiente di fede, di preghiera, di grande apprezzamento per il S. Padre, di guardare a quelli che sono le principali virtù e valori evangelici. Il Pontefice viene a confermare nella fede i cattolici di questa terra e c’è una preparazione spirituale, un impulso pastorale molto forte. E mi sembra che più o meno dappertutto c’è una grande allegria in attesa del Papa”.

In Colombia sono molto forti le diseguaglianze sociali. E’ noto l’impegno del Papa per gli ultimi, per i poveri, per gli “scartati”. Il Governo è altrettanto impegnato a diminuire questo divario?

“Un po’ difficile rispondere… Quando uno legge i rapporti ufficiali sembra che la povertà è diminuita, che il paese va molto bene ma in realtà si vede che non c’è un progresso, che c’è tanta gente che non ha niente tante case in condizioni praticamente inumane eccetera. Non saprei dire qual è l’impegno del governo… Forse c’è buona volontà però purtroppo ora si è scoperta tanta corruzione, i soldi che dovrebbero servire a migliorare le infrastrutture necessarie a vivere meglio in Colombia, vanno nelle tasche di tanti politici e addirittura di giudici e questo è gravissimo”.

Non ci sono solo le Farc: a che punto sono i negoziati con l’Eln?

“In effetti i gruppi di guerriglieri sono diversi. Con l’Eln si è cominciato un dialogo a Quito, anche la Chiesa interviene positivamente, cercando che anche loro camminino su questo percorso. Però nel frattempo continuano con i sequestri, con le estorsioni… quindi non si sa fino a che punto ci sia sincerità in questo inizio di dialogo per mettere finire a questa guerra”.

Il prossimo anno ci saranno le elezioni politiche: ci sono rischi per l’accordo con le Farc e le trattative con le altre formazioni di guerriglieri?

“Nel mese di gennaio quando comincerà veramente la campagna elettorale per la presidenza e il senato, si vedrà un po’ quali prospettive indicheranno i partiti. Sicuramente il tema della pace e il modo in cui si porterà avanti sarà molto difficile. Alcuni gruppi dicono che così come il presidente Santos ha portato avanti questo accordo non sta bene e pertanto c’è il pericolo di tornare indietro. Ma non mi sembra che sia il momento di tornare indietro e ricominciare tutto daccapo, piuttosto bisogna trovare il modo di migliorare. Penso che coloro che si oppongono alla politica del presidente dovrebbero pensare, se vinceranno le elezioni, a come migliorare l’accordo, in modo tale che si possa arrivare a una soluzione giusta. Penso però che debbano accogliere già questa realtà di un partito politico, come quello che è stato creato l’altro week end, nel congresso delle Farc per poter partecipare alle elezioni”.

L’altra grande piaga del Paese è il narcotraffico. Dopo la fine della guerra con le Farc è possibile una reale riduzione delle coltivazioni di coca? Cosa si sta facendo in concreto nella lotta alla produzione e alla distribuzione di droga?

“Dobbiamo riconoscere che il governo colombiano ha fatto una lotta enorme contro la droga ma purtroppo la coltivazione aumenta perché aumenta anche la richiesta della droga sia in Europa che negli Stati Uniti. Ci sono stati migliaia e migliaia di ettari di coltivazione di coca che sono stati distrutti, con la fumigazione o con l’eradicazione manuale delle piante, però gli sforzi sono inutili perché ci sono tanti interessi economici. Le Farc erano uno dei principali gestori di questo traffico. Non so se hanno già abbandonato i territori coltivati, se hanno una reale volontà di non essere più etichettati come narcotrafficanti, però ci saranno subito altri gruppi pronti a prendere il loro posto. Questo è un problema molto grosso: dobbiamo riconoscere che la Colombia è forse il Paese che più ha lottato contro questa piaga ma purtroppo è difficilissimo eliminarla. Tra l’altro la nostra geografia è così varia che sarà quasi impossibile sradicare questo problema senza una volontà di quelli che chiedono la droga per il consumo interno di alcune nazioni”.

La Colombia deve fare anche i conti con il doloroso problema dei soldati-bambino. Come lo sta affrontando il Governo? Quanto è importante, in questo campo, il sostegno della Chiesa?

“Soldati no, sono guerriglieri… penso che sia uno dei punti più forti del trattato, mi pare che le Farc hanno già consegnato tutti i ragazzi minorenni nelle loro file. Non so l’Eln, che purtroppo prendeva dalle famiglie i bambini per ingrossare le sue forze ma mi sembra che almeno ufficialmente si stia lottando perché si rispetti il diritto dei bambini. Speriamo che anche gli altri gruppi della guerriglia comprendano che non dobbiamo giocare con i ragazzi che devono vivere la loro vita tranquilli, la loro infanzia senza mettersi in una guerra che non gli appartiene”.

Le chiese in Colombia sono sempre piene di fedeli ma c’è il rischio che la “globalizzazione laica” influisca negativamente sulla società facendo sentire gli effetti del secolarismo?

“Purtroppo è vero, il secolarismo sta invadendo pian piano tutta la realtà e per questo è importante l’evangelizzazione, anche la nuova evangelizzazione, come ci chiedeva Giovanni Paolo II, poi Benedetto XVI e come ora Papa Francesco ci ripete costantemente: serve una conversione pastorale, perché il problema del secolarismo è frutto anche della globalizzazione, quindi vediamo che in tante nazioni che erano cattoliche, che avevano radici molto forti, la secolarizzazione ha iniziato a togliere questa realtà nelle loro culture. E questo succede anche da noi. Comincia a vedersi un’indifferenza dei giovani che ormai non vogliono sentire le parole del Vangelo, che pensano che sia una cosa superata… Quindi è necessario un lavoro pastorale molto, molto forte, uno sforzo molto grande per vedere come rispondere a questa sfida del secolarismo. E’ una realtà che non possiamo negare: il secolarismo comincia a ‘mangiare’ un po’ i nostri valori cristiani”.

Nel 2015, durante la visita a Cuba, il Papa rivolse il suo pensiero alla Colombia e al processo di pace che si trovava in momento cruciale. Pensa che sia possibile qualcosa di simile per il vicino Venezuela, che sta attraversando una fase drammatica?

“Penso che qualcosa dirà, se i vescovi venezuelani saranno presenti sicuramente il Papa avrà qualche gesto per loro, c’è questa vicinanza tra Venezuela e Colombia… non so se pubblicamente (al momento non sono previsti incontri ufficiali, ndr) o almeno per dare loro un conforto, una parola di incoraggiamento. Conosce molto bene la situazione”.

Questo viaggio ha senza dubbio un grande significato politico, nel senso più nobile del termine. Cosa si aspettano la Chiesa colombiana e il governo di Bogotà dalla visita del S. Padre? Quanto potrà incidere nella vita politica e sociale del Paese?

“Il messaggio del Papa sarà un messaggio di riconciliazione, di apertura al dialogo, di capacità di perdono ma anche di giustizia. Saranno parole che se si prenderanno sul serio daranno frutti enormi. La cosa importante è che ci sia un ascolto vero e proprio per poi vedere come continuare. La visita come tale è un gesto importantissimo però se non c’è un dopo, non c’è una continuazione di riflessione e di impegno della parte politica, di quella ecclesiastica e della società civile, allora sarà una visita che si ricorderà con emozione ma poco fruttuosa. Però penso che almeno da parte della Chiesa c’è l’impegno a dare continuità nel lavoro con la gente seguendo le parole che il S. Padre ci dirà in quelle circostanze, l’impegno a far capire che come cristiani dobbiamo riconciliarci, dobbiamo avere sentimenti di apertura, di accoglienza, di vicinanza, di perdono”.