LO STERMINIO

Asia Bibi guarda fuori dalla cella di pochi metri nella quale è condannata a vivere gli ultimi giorni prima del patibolo. Forse pensa alla fortuna di quelle sue coetanee che sono nate in luoghi in cui la libertà religiosa è un diritto. Poche parole rabbiose pronunciate durante una lite con due donne musulmane le sono costate la condanna a morte per blasfemia. Una norma infame, vergognosa, che in Pakistan (dove Asia conduce la propria esistenza) e in altri paesi confessionali consente la tortura e l’uccisione di decine di persone. Per Bibi e contro l’applicazione di questa atroce legge l’Occidente si è mobilitato, trasformandola nel simbolo della persecuzione dei cristiani nel mondo. Una storia sporca per troppo tempo sottovalutata dalla comunità internazionale.

A risvegliarla da suo torpore è arrivato il nuovo grido di dolore del Papa. “Non possiamo rassegnarci a pensare al Medio Oriente senza i cristiani – ha detto Francesco aprendo il Concistoro Ordinario dedicato proprio alla situazione nell’area geografica più calda del pianeta- che da duemila anni vi confessano il nome di Gesù”. Teatri di guerra e sopraffazione dove “purtroppo – ha aggiunto il Pontefice – le violenze avvengono nell’indifferenza di tanti”. Eppure, ed è questo che genera rabbia, le avvisaglie ci sono state. Quella più raccapricciante è arrivata lo scorso agosto da Mosul (in Iraq), dove le case dei Nassarah (cioè Nazareni, termine con cui i musulmani chiamano chi crede in Cristo) sono state marchiate con le bombolette spray. Così come i nazisti segnavano i negozi e le abitazioni degli ebrei negli anni 30 e 40, prima che l’incubo dei campi di sterminio si mostrasse in tutta la sua drammaticità. Scenario che, con l’inarrestabile ascesa dell’Isis e del fondamentalismo, potrebbe ripetersi.

Nel 2011 il quotidiano Avvenire pubblicò i primi dati sulle persecuzioni dei cristiani. Secondo il dossier il 75% delle violenze anti religiose nel mondo riguardavano proprio questa confessione, che in Medio Oriente rischiava addirittura l’estinzione. Il numero delle vittime (tra il 2000 e il 2010) è stato calcolato in 150mila l’anno, vale a dire una ogni 5 minuti. In totale (afferma l’Ocse) si stima che il Cristianesimo abbia avuto 70 milioni di martiri, di cui 45 milioni solo nel ventesimo secolo. Ciò lo rende il credo religioso globalmente più colpito. Una situazione così grave che anche l’Europarlamento si è sentito in dovere di intervenire, promuovendo l’adozione di una strategia comune per arginare il fenomeno.

Eppure in tre anni le cose sono addirittura peggiorate. Basti pensare a quello che succede in Nigeria, dove in soli due mesi le milizie del gruppo integralista Boko Haram hanno dato alle fiamme 185 chiese, costringendo alla fuga oltre 190mila persone. O al rapimento di un sacerdote e di 20 fedeli (poi rilasciati), in Siria nella prima settimana di ottobre. E sbaglia chi limita al solo fondamentalismo islamico le responsabilità per questa continua e impunita carneficina. La persecuzioni vanno avanti anche in paesi lontani per cultura e tradizione dal mondo musulmano. Come in India, dove proseguono le riconversioni forzate all’induismo: 350 nel 2011, 315 nel 2012, 23 negli ultimi giorni.

Senza dimenticare la condizione in cui i cristiani sono costretti a vivere nei paesi comunisti dell’Asia. In Cina solo le organizzazioni patriottiche con vescovi scelti dal partito sono riconosciute, la chiesa fedele al Papa è invece clandestina e diversi alti prelati sono incarcerati. Mentre in Nord Corea gli esuli parlano di centinaia di migliaia di uccisioni, che hanno spopolato le regioni un tempo abitate dai cristiani. Storie di dolore, di intolleranza e di morte che sono uno schiaffo potente a chi ha, per troppo tempo, taciuto sul problema, forse nella convinzione che un cristiano sia tenuto, per vocazione, a porgere l’altra guancia. Finché ne ha una s’intende.