LO SPORT MI HA INSEGNATO A VIVERE

Giorgio Farroni non perde occasione per esprimere il profondo amore nei confronti del ciclismo. Una disciplina che gli ha regalato emozioni e lacrime di gioia nonostante un’esistenza difficile, trascorsa a lottare contro la disabilità. Il suo palmares sembra dire già tutto: due volte campione del mondo, argento paralimpico a Pechino nel 2008, bronzo a Londra 2012 e altri trofei internazionali. Ma la sua è una storia fatta di conquista a piccoli passi, con la fatica di sfidarsi per vincere ogni giorno anche la sua diplegia.

Attraversando la sua abitazione non si può non scorgere lo sfavillio dei numerosi riconoscimenti: coppe, medaglie e targhe, premi che affermano la smisurata passione ricambiata per le due ruote; sono disposti con un compiacimento moderato, accanto alle foto della moglie e dei figli ancora piccoli, segno di una gioia condivisa alla quale se ne accostano altre. In un angolo un tavolino in decoupage, realizzato dalla madre con i ritagli di giornale che ne immortalano i primissimi successi. In una vetrina i regali di maggior pregio come l’orologio della Ferrari, avuto personalmente in dono da Luca di Montezemolo e le medaglie del Quirinale, consegnategli direttamente dal Presidente della Repubblica al ritorno dalle gare. Le pareti gremite di fotografie che attraversano nel tempo i momenti indimenticabili delle vittorie conseguite, e un ritratto in stile moderno, che raffigura un volto gioioso e di serena soddisfazione.

Diplegico dalla nascita viene avviato subito alla riabilitazione motoria e inizia a praticare sport sin dal terzo mese di vita. “Ho avuto sempre il sostegno della mia famiglia – racconta – mia madre mi ha fatto praticare tutte le discipline possibili”. Quello con il ciclismo è un legame che nasce per gioco, ma che ben presto gli tira fuori il coraggio di vivere e la voglia di riscatto. “Con gli amici andavamo in gita in mountain bike, stavamo fuori intere giornate – ricorda con gli occhi fulgenti – tornavo a casa mummificato dal fango, ma con la gioia nel cuore. Senza rendermi conto ho iniziato a gareggiare con gli amici, era puro divertimento, per me era un’avventura”. Finché un giorno non gli viene proposto un confronto agonistico, il principio di una carriera vincente, iniziata con le affermazioni nelle competizioni locali e nazionali e con la classificazione alle paralimpiadi di Sidney 2000, a soli 23 anni.

Ma l’ascesa del campione incontra nel suo percorso di traguardi il primo vero ostacolo. Per un errore tecnico e di incomprensione del reale handicap fisico di Giorgio, la commissione olimpica lo assegna ad un’altra categoria, che lo porta a gareggiare in una posizione di grande svantaggio, a causa della quale non può ottenere una qualificazione ai giochi. Per l’atleta inizia un periodo di prova, in cui matura la consapevolezza che il ciclismo non è più soltanto la passione giocosa e goliardica scoperta da ragazzino, ma uno strumento fondamentale di crescita e affermazione personale, il quale lo fa misurare con l’amarezza che la vita può riservare e con la voglia di reagire e lottare. “Io ho continuato ad allenarmi imperterrito – spiega accigliato – ma ho anche pensato di smettere perché non venivo più convocato in nazionale, anche se vincevo il campionato italiano non bastava per una qualificazione internazionale”. Quindi tra il 2001 e il 2005, sembrava ormai spenta ogni possibilità di rivivere il sogno di una competizione olimpica, “Nessuno ha voluto prendersi la responsabilità di segnalare questo errore alla commissione medica internazionale”. La rabbia mista al senso di impotenza, gli fa scattare il desiderio di combattere “mi sono detto: ma perché deve essere qualcun altro a decidere per me che devo smettere? Deve essere una mia scelta”. Nonostante i tentativi la situazione sembra in stallo, finché nel 2005 torna come ct italiano Mario Valentini, campione affermato ed esperto di ciclismo paralimpico, che ricarica Giorgio di fiducia e presenta il ricorso che gli permetterà di ottenere la correzione tanto attesa e la riammissione alle qualificazioni. “Ho finalmente ricominciato a gareggiare con la voglia di recuperare anche tutto quello che avevo perso fino a quel momento – dice oggi il ciclista – ed ero sempre tra i primi 10 a livello internazionale, poi dal 2008 sono stato sempre sul podio mondiale, alle olimpiadi di Pechino sono arrivato terzo, nel 2009 ho vinto sia la gara a crono sia su strada, nel 2010 sono arrivato secondo su strada, nel 2011 ho trionfato nel campionato del mondo e nel 2012 a Londra ho ottenuto l’argento”.

Dei giochi inglesi ricorda l’emozione provata all’arrivo, dopo una gara faticosissima tra lui e il primo corridore. Distaccati gli altri avversari l’attenzione era focalizzata tutta su di loro, tra le grida di incitamento del pubblico. “Ci distanziavano circa trenta metri, ed ormai ero consapevole di non poterli recuperare e di non essere raggiunto da nessuno, allora gli ultimi 200 metri prima dell’arrivo mi sono tirato su dalla bici e ho iniziato a salutare tutti, c’era una marea di gente che era un peccato lasciare così, mi sono girato verso di loro e ho iniziato a festeggiare per la medaglia che avevo ottenuto, ed è stato un delirio, un’emozione fortissima”. I risultati che Giorgio ha ottenuto sono sicuramente anche il frutto di un impegno allargato a quella che lui chiama la “famiglia ciclistica”, che però rispecchiano una volontà personale ferrea e conquistatrice. “La prima cosa da mentalizzare è che non puoi saltare neanche un giorno di allenamento, a parte quello in cui è nato mio figlio – ammette sorridendo – di solito nei periodi calmi pedalo due ore al giorno e poi in preparazione al mondiale circa sei al giorno”. Soddisfazioni arrivano anche dai molti followers che gli scrivono e lo sostengono da tutta Europa, tra cui anche l’allenatore italiano Roberto Mancini complimentatosi con lui attraverso i social network. Persone che, affascinate dalla sua esperienza, gli chiedono consigli su come iniziare questa attività.

A questo straordinario atleta la bicicletta ha dato tanto, soprattutto dal punto di vista personale. “Una gara tra il primo e il quarto posto si decide per centimetri, non ti distanziano i metri ma i centimetri, e da quello dipende tutta la tua carriera”. In un attimo puoi perdere tutto il lavoro, i sacrifici e gli sforzi fatti per tanto tempo. Questo comporta una preparazione quotidiana che richiede grande determinazione, costanza, impegno, resistenza, motivazione, in un equilibrio perfetto tra forza fisica e concentrazione interiore. “Il ciclismo – sottolinea – è uno sport che insegna a vivere perché devi essere costante e lottare, devi essere corretto ma facendoti rispettare altrimenti gli altri ti sovrastano e non ottieni risultati, e questo per me è una lezione positiva anche per la vita”. La storia di Giorgio è una storia di grinta e di coraggio, di una passione scelta e condotta con impegno, dove l’avventura della vita e di una gara si affrontano con coscienza e spirito temerario, nelle relazioni private come in quelle sociali, nella famiglia come nel lavoro. E uno schiaffo a quanti non riescono a guardare oltre l’ostacolo, sottovalutando l’incredibile potenza dello spirito umano.