L’EREDITA’ DI DON PUGLISI
LO STATO CI HA LASCIATO SOLI

Ci sono occasioni nelle quali si ha la fortuna di vivere accanto a persone speciali. Ne respirano la semplicità e la forza, la determinazione e gli affanni, traendone alla fine un’energia che trascende lo spazio e il tempo, va oltre le categorie normalmente conosciute per trasformarsi in Storia.

Suor Carolina Iavazzo è una di queste, per anni ha vissuto in parrocchia con don Pino Puglisi, affiancata da altre due religiose delle Sorelle dei poveri di santa Caterina da Siena: “E’ un uomo che ha tanto da dire al mondo – racconta usando il presente e non il passato -. Sacerdote di Dio per vocazione, a cui ha legato la sua missione. Ha creduto nella bellezza del Signore, nella potenza del Vangelo e nella sua giustizia che non è di questo mondo. Ha dato un volto nuovo alla Chiesa, vivendo nella Chiesa, che non vedeva come un distributore di sacramenti, ma come comunità viva.

A Brancaccio, quartiere periferico di Palermo, dove era nato il 15 settembre 1937 da una famiglia modesta (il padre calzolaio e la madre sarta), ci torna da prete e per togliere il pensiero al Cardinale su chi inviare in quel luogo difficile, disse “Ci vado io” in quel territorio malfamato e pericoloso. Esattamente lo spirito di servizio richiamato in questi giorni da Papa Francesco nella sua visita in una parrocchia romana parlando di coraggio e criminalità organizzata.

“Voleva ripulirlo dal degrado, dall’ignoranza provocata dalla mafia per imporre le proprie regole – continua la suora -. I giovani non andavano a scuola, e lui cercò di lavorare su questo anche con corsi di alfabetizzazione per prendere almeno la quinta elementare: chi sa, non si lascia gestire, chi non sa è influenzabile. Lavorò per salvare tutto l’uomo, nella sua completezza, spirito anima e corpo: dare un volto alla persona dandogli Dio, perché è Dio la bellezza interiore che ti trasforma e si mostra nei gesti e nei comportamenti concreti rivelandosi cosi agli altri”.

don puglisi“Quest’ uomo insieme con Dio ha avuto il potere di far alzare la testa al quartiere, che ha preso coscienza di chi aveva a capo: sono stati ripuliti gli scantinati dove ci si drogava, dove c’erano violenze sessuali, scommesse illegali sulle lotte tra cani. – racconta Carolina -. Un vero e proprio schiaffo alla mafia, combattuta con la fermezza del sorriso”.
“In quel quartiere degradato sono nati anche una scuola media, servizi di ogni genere, le fogne, cultura. Puglisi chiedeva e viveva per gli altri e tutto questo si è realizzato grazie anche alla sua morte” avvenuta il 15 settembre 1993, giorno del suo 56º compleanno.

Intorno alle 22,45 viene infatti ucciso davanti al portone di casa in piazza Anita Garibaldi, nella zona est di Palermo. E’ alla guida della sua Fiat Uno di colore bianco e, sceso dall’automobile, si avvicina al portone della sua abitazione: qualcuno lo chiama, lui si gira mentre un sicario gli spunta alle spalle ed esplode più colpi alla nuca. Una vera e propria esecuzione in stile Cosa Nostra. “Non è mai tornato sui suoi passi, aveva coraggio” – ammette la suora con la certezza di chi sa che Pino trovava la sua forza in Dio. Don Puglisi tornava spesso con gli occhi rossi e con il labbro spaccato, ma non si arrendeva mai. Anche dopo le intimidazioni più gravi, nel corso dell’omelia ebbe il coraggio di chiamare “bestie” i suoi persecutori.

È stato proclamato beato Il 25 maggio 2013, sul prato del Foro Italico di Palermo, davanti ad una folla di circa centomila fedeli. La celebrazione è stata presieduta dall’arcivescovo Paolo Romeo, mentre a leggere la lettera apostolica, con cui si compie il rito della beatificazione, è stato il cardinal Salvatore De Giorgi, delegato da Papa Francesco. È il primo martire della Chiesa ucciso dalla mafia.

La suora ha fondato il Centro Padre Puglisi in Aspromonte, nella profonda Calabria, dove ci sono circa 40 ragazzi dalla strada- “che recuperiamo con tante attività, sport e formazione: ci mettiamo in gioco in nome del don”. E’ diventato ormai luogo di incontro e di confronto per i ragazzi che, grazie all’utilizzo di metodi alternativi si avvicinano con criticità alle problematiche che caratterizzano la loro crescita.

“Lo Stato è il primo latitante, ci ha lasciati soli – ha concluso Carolina- nonostante ci siano ragazzi che hanno una grande voglia di cambiamento e ci sia l’esempio di Padre Puglisi che mi dà forza anche quando penso di mollare…” Una conclusione amara ma reale, che testimonia quanta strada ci sia ancora da fare.