L’ANTICO CONFRONTO TRA I DUE POTERI

Tutta la forza della Chiesa sta nella preghiera e nell’accettare, amare la croce, sapendo che Cristo ci ha insegnato a percorrere una sola via, quella che ha percorso lui. Dunque, non c’è una via A e una via B, ma solo una. Quella B non esiste, è una invenzione della pigrizia, della mancanza di amore alla croce, della volontà di compromesso con il mondo.

La Chiesa uscita dal cenacolo con la forza dello Spirito Santo percorse subito l’unica via datale da Cristo e percorrendola arrivò a far considerare al potere della terra, Costantino, che i cristiani non erano un’insidia. I culti ufficiali agli dei non avevano dimostrato nessuna forza di fronte alla nuova religione e i culti misterici erano occulti, segreti per definizione, non fornendo supporto alla cosa pubblica. I cristiani davano a Cesare quello che è di Cesare e avevano come legge la carità e come forza fondante la pace.

L’editto di Costantino

Quando noi pensiamo all’editto di Costantino (313) pensiamo alla libertà di culto che i cristiani finalmente ebbero dopo terribili persecuzioni, e ciò è vero, ma dovremmo pensare anche alle attese dell’impero e a ciò che ebbe di grande. Le aspettative dello Stato erano in parte mondane, cioè il consolidamento del potere, ma erano anche di carattere molto elevato desiderando che i cristiani portassero ordine ovunque con la predicazione di Cristo. L’impero era finalmente disposto a rinunciare a considerare Cesare come un dio, e si apriva a Cristo, Figlio di Dio, Re di salvezza e di pace. Un cambio notevolissimo, immenso.

Un’opportunità per la Chiesa

L’editto fu un’opportunità sia per la Chiesa, sia per l’impero, ma la Chiesa doveva essere più che mai aderente a Cristo. Fu un momento difficile. Cessate le fiumane delle persecuzioni ecco che giunsero il rispetto e la ricchezza. Quest’ultima accolta in nome di testi quali (Is 60, 1-6): “Verrà a te la ricchezza delle nazioni…”; (Is 61,6): “Trarrete vanto dalle ricchezze delle nazioni”; (Ag 2,7): “Affluiranno le ricchezze di tutte le genti”. Questi scritti profetici erano tuttavia da intendere alla luce di Cristo. Non si tratta di bottino di guerra, ma di uno liberato dalla guerra, dall’odio, dagli accaparramenti, dalle ingiustizie, dall’iniquità. Nella loro lettura in Cristo si trattava di ricevere le ricchezze delle nazioni affinché venissero redente, diventassero a favore delle genti.

Quelle ricchezze andavano date ai poveri, all’emancipazione delle masse. Non sempre questo accadde. Pareva che il benessere, gli onori, fossero dati finalmente al vincitore di una lunga battaglia, sia pur spirituale, dimenticando che la lotta continuava. E proseguì, e fu subito necessario che alla testimonianza del sangue subentrasse, pur già presente, un’estensione grandiosa della testimonianza della verginità, della castità, con gli asceti delle comunità del deserto, dei monasteri. Era questo un distanziarsi netto dagli onori, dalle ricchezze, perché si doveva affrontare la persecuzione degli onori.

Il Sacro Romano Impero

Col tempo sembrò la soluzione definitiva l’essere approdati alla costituzione del Sacro Romano Impero, dove i re venivano incoronati dai Papi. Sembrava un assetto stabile per sempre, ma non fu così, poiché i re scarsamente collaborarono e piuttosto vollero loro avere l’iniziativa sulla Chiesa, e spesso la ebbero imponendo l’elezione di vescovi a loro graditi, leggi munite di garanzia di fedeltà allo Stato, al principe. Per sostenere il Sacro Romano Impero ancora ci voleva l’amore alla croce, la dedizione totale a Cristo: l’impegno era immenso e non si attuò sempre. Quel poco di Stato Pontificio che si era costituito era un vantaggio per la libertà della Chiesa, ma anche nel tempo uno svantaggio perché faceva nascere l’illazione che la Chiesa sognasse un suo impero: spirituale e territoriale.

I sovrani mal sopportavano che il papato avesse una parola su di loro. Ancora le ricchezze sedussero gli incauti. Il potere della terra, dal quale si voleva libertà di azione, chiedeva il prezzo di tacere su di lui. Affidava l’opera caritativa presso i poveri, i miserabili, all’azione generosa degli ordini della carità, dei vescovi, lasciando loro ampie proprietà. Una sintesi che sembrava stabilissima, sancita da statuti, e da incoronazioni liturgiche dei re con corone sormontate dalla croce, ma con poca volontà di amarla. Dimenticando la novità introdotta da essa nella storia, poiché carica di risurrezione.

Umanesimo e cristianesimo

La sintesi raggiunta aveva la debolezza di adeguarsi alla staticità delle dinastie regali. Tutto sembrava raggiunto, e il popolo era fermo al pensiero che la potenza della salvezza doveva essere pensata solo per il raggiungimento del cielo e non anche al miglioramento delle condizioni sulla terra. A Dio ci si rivolgeva, giustamente, per scongiurare calamità belliche, epidemie, ma ben poco per cambiare il mondo, non si aveva questa fiducia di possibilità di cambiamento, e per non pochi era comodo che non maturasse.

Il mondo delle corti, vide che l’uomo finiva per essere stretto nell’angustia della sola salvezza eterna, e da par suo andò per conto suo, producendo con impeto l’umanesimo. La sfida tra l’umanesimo degli umanisti – quello delle corti – e quello cristiano non era facile, ed è andata avanti scontrandosi con i travolgimenti del risorgimento. Eppure l’umanesimo cristiano c’era: c’era nel sorriso del frate che cercava qualcosa nelle campagne, che si preoccupava della gente; c’era nel volto della suora che incoraggiava gli ammalati negli ospizi, c’era nella voce del predicatore che camminava a piedi chilometri e chilometri per predicare l’amore, la giustizia, la riconciliazione. Era il tempo dove si pregava che venisse un re buono che aggiustasse tutto. Ma emergevano nuove realtà, che coinvolgevano le masse nelle decisioni; cambiamenti sociali erano in vista.

L’avvento della democrazia

Il desiderio che qualche potente, qualche partito, desse appoggio, era ancora un residuo della staticità, della volontà di delegare ad altri, del non impegno personale. Sempre più, con l’avvento della democrazia, appariva che tutti dovessero essere operatori di bene, di amore. Si doveva prendere l’iniziativa della croce, della penitenza, guardare profeticamente al futuro, non lasciarsi strappare l’indole profetica. Il mondo cambiava. Non più i re, ma i parlamenti, le elezioni, la democrazia. Non si poteva più delegare a qualcuno, a un qualche partito dal volto favorevole. Bisognava che il popolo fosse cristiano, diffusamente cristiano, doveva avverarsi quanto già annunciava Isaia (32,2): “Ognuno sarà come un riparo contro il vento e un rifugio contro l’acquazzone, come canali in una grande steppa, come l’ombra di una grande roccia su arida terra”.

Il Concilio Vaticano II

Il Concilio Vaticano II ci ha fatto vedere questo, in modo ineludibile, sottolineando che la Chiesa è tutta ministeriale. Ma c’erano dei profeti coraggiosi anche prima del Concilio. La Chiesa non manca mai di questi coraggiosi amanti della croce e del futuro dalla stessa promesso, anche sulla terra: Il giardino della redenzione – non della creazione, perduto per sempre – dove il vessillo dell’unione è la croce, e Cristo è il re, nella pace, nell’amore, nella giustizia (Cf. Ps 45).

Possiamo ricordare, come anticipatori della grande luce del Vaticano II, degli esempi noti, recenti, come don Lorenzo Milani, che voleva sottrarre con la sua piccola scuola di Barbiana i parrocchiani dall’ignoranza, per farli capaci di agire culturalmente e operativamente; voleva un’obbedienza viva, carica di vita, non convenzionale opportunistica, acquiescente. Fu osteggiato, ma ora ben valorizzato da Papa Francesco, che lo ha definito: ”Innamorato della Chiesa e grande educatore”. Possiamo pensare a don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, anche lui osteggiato, non compreso, ma poi salutato di persona, pubblicamente, da Giovanni XXIII con l’espressione: “Tromba dello Spirito Santo”. Paolo VI disse di don Mazzolari che aveva “il passo troppo lungo e noi si stentava tenergli dietro … ma è il destino dei profeti”. Sia don Mazzolari, sia don Milani, operavano, nei raggio delle loro possibilità, per una svolta nelle masse cristiane.

I Concordati tra Chiesa e Stato

Cosa dire sui concordati, inaugurati dall’editto di Costantino, che in sé fu un concordato tra lui e l’imperatore di Oriente, Licinio, a favore della libertà dei cristiani? Innanzitutto i sono necessari, ma non per stabilire degli status quo sui quali adagiarsi, ma per avere delle opportunità per il Vangelo. Sono necessari per gli Stati, se ben intendono cosa vuol dire avere come cittadini degli osservanti dei comandamenti di Dio. I Paesi stipulano i concordati dai loro punti di forza, assicurandosi che non ci sia sovversione da parte della Chiesa (ma quando mai c’è roba del genere nel Vangelo!). Essi hanno vari contenuti, con opportunità di collaborazione, di libertà religiosa, e punti di confine. Paolo VI ne ha firmati ben 22, di varia entità.

La forza della fede

Ma qual è il punto di forza col quale la Chiesa firma un concordato, quale la sua speranza? I punti di forza sono la croce e la preghiera. Quale la speranza? Far sì che il Vangelo estenda la sua potenza capace di lievitare il mondo; sempre dando a Cesare quel che è di Cesare, ma chiedendo a Cesare di dare se stesso a Dio e quindi di porsi al vero servizio degli uomini. Quale il male possibile di un concordato, che in sé e per sé non ha? Quello di vedervi non un’opportunità per il Vangelo, ma un’opportunità per strategie di quieto vivere. Così la sfida continua e il punto di forza della Chiesa rimane la croce carica della vittoria della risurrezione, la preghiera, il cibo eucaristico, che è il Corpo e il Sangue del Signore.

Sino alla fine bisogna amare la Croce. Ancora bisogna redimere le ricchezze, che ora non vanno più alla Chiesa, e che perciò sono più che nel passato difficili da redimere. Sarebbe tragedia se corressimo dietro a quelle ricchezze: aspettiamole, preghiamo che vengano, non dubitiamo che verrà il tempo in cui verranno per essere redente dalla legge della carità, che è quella del Vangelo.