L’AMBASCIATORE: “ECCO PERCHE’ IL MESSICO NON TEME TRUMP”

 

“E’ un mio parere personale ma penso che la politica intrapresa dal presidente Trump sull’immigrazione porterà benefici al Messico perché ci permetterà di tagliare un cordone ombelicale che per molti anni ci ha impedito di guardare ad altre frontiere”. Lo ha affermato l’ambasciatore messicano in Italia, Juan José Guerra Abud, nel corso del forum promosso da Mediatrends, l’osservatorio specializzato sull’America Latina, al quale hanno partecipato anche l’ambasciatore del Cile Fernando Ayala, il portavoce di S. Egidio America Latina prof. Gianni La Bella e il corrispondente del Wall Street Journal Francis Rocca.

Un milione di frontalieri

Il ragionamento del diplomatico messicano è stato molto realista: “Il fenomeno migratorio è antico – ha detto – Ogni giorno oltre un milione di persone attraversa la frontiera tra Stati Uniti e Messico. Per fare un paragone, a Roma arrivano ogni anno 35 milioni di turisti. Passano il confine ogni giorno 300.000 veicoli, di cui 70.000 camion per il trasporto di merci. Perché c’è un flusso migratorio così imponente? Semplicemente perché negli Stati Uniti c’è lavoro, ci sono imprenditori che creano servizi che però sarebbero impossibili senza gli immigrati”. E ha ricordato che in occasione della manifestazione “Un giorno senza latinos”, molti ristoranti e alberghi sono stati costretti a chiudere: “Ecco perché agli Stati Uniti servono i migranti”.

“Il Messico è contro l’illegalità”

Guerra ha fatto riferimento anche all’immigrazione clandestina: “Il Messico non vuole l’illegalità – ha sottolineato – Bisogna rispettare le leggi dei Paesi in cui si emigra. Se gli Stati Uniti vogliono deportare gli illegali, lo facciano purché avvenga tutto nel pieno rispetto dei diritti umani”. Ha anche aggiunto che il flusso netto dei migranti verso gli Usa è in diminuzione: “Sono molti i messicani che stanno tornando, grazie alla politica del presidente Peña Nieto che ha portato alla creazione di un milione di posti di lavoro”. Al contrario, sta aumentando l’immigrazione dal Centro e Sud America. “Creare opportunità di lavoro nei Paesi d’origine è il miglior modo per farli restare a casa” ha detto Guerra. Che ha poi messo in evidenza l’importanza della collaborazione commerciale tra Messico e Stati Uniti: “Trump dice che l’accordo Nafta è troppo penalizzante per gli Usa ma – ha sottolineato – nel 2015 il Messico ha acquistato beni dagli Stati Uniti per 235.000 milioni di dollari, più di Cina, Giappone, Corea del Sud e Thailandia messi insieme. Il deficit commerciale nei confronti del Messico è di circa 70.000 milioni, di gran lunga inferiore a quello con la Cina pari a 367.000 milioni di dollari”. Insomma, la politica protezionista e il superamento del libero scambio commerciale a lungo termine non sarebbero un vantaggio.

Narcotraffico e corruzione

Non è mancata una frecciata per quanto riguarda il narcotraffico: “Abbiamo problemi con la droga – ha ammesso – e con la corruzione. Ma chi si ricorda del fatto che gli Usa sono i maggiori consumatori? Ho assistito a un dibattito preelettorale tra Trump e Clinton: tutti e due hanno parlato di narcotraffico ma nessuno ha menzionato programmi per contrastare il consumo di droga. Una doppia morale che non regge”. Infine il muro: l’ambasciatore Guerra ha ribadito che “chiunque può ristrutturarsi casa ma non può chiedere che sia il vicino a pagare. Non abbiamo paura: il Messico ha grandi qualità e le faremo valere”.

La posizione del Cile

Ancora più drastico l’ambasciatore cileno Ayala secondo il quale la visione di Trump è quella che in qualche modo era di Kissinger: una globalizzazione che dimostri l’egemonia degli Usa, ancora più marcata dopo la caduta del muro. Un’egemonia esercitata attraverso l’organizzazione del mercato. “Ma – ha sottolineato – non bisogna dimenticare che i migranti mantengono bassi i salari e svolgono i lavori più umili. Gli Stati Uniti hanno bisogno di aiuto nella lotta al narcotraffico e nella cooperazione militare sia per la sicurezza sia perché gli Stati sudamericani acquistano armi dagli Usa. Come ha detto l’ex presidente Lagos, dobbiamo essere tutti uniti per affrontare la minaccia portata alla buona convivenza da questo gigante del Nord”. Ayala ha messo infine in evidenza come le paure del passato (guerra nucleare, comunismo, guerra fredda) siano state sostituite da altre paure, accresciute dopo l’attentato dell’11 settembre: “E’ la paura della crisi del benessere, della migrazione che mette in pericolo il futuro delle pensioni, dei servizi sociali. Una dialettica della paura” che viene facilmente sfruttata per far presa sull’elettorato.