LA VITA DONATA DUE VOLTE

Otto ore al giorno agganciati a una macchina per poter depurare il sangue. E’ la storia di tante persone affette da insufficienza renale, che sono prigioniere della dialisi in attesa di un trapianto. Anche Alessandro, che ha scoperto la malattia a 40 anni, si è trovato nella stessa condizione. E come gli altri ha iniziato la trafila per un trapianto, scontrandosi con le enormi differenze di uno Stato come l’Italia che ancora oggi resta diviso in due: aspettativa di 6 mesi d’attesa se vivi al nord, 6 anni se sei al centro sud. “La cultura del trapianto, della donazione è ancora lontana dal farsi strada in Italia – racconta a In Terris Alessandro -. Manca l’informazione, la sensibilizzazione; in certi momenti sembra sia un tabù parlare di chi è malato…”. Non è una questione di poco conto: il malato, il diverso, colui che può crearci problemi anche solo di coscienza è meglio lasciarlo in un cono d’ombra. Addirittura si cambiano le parole per esorcizzare le paure, come quando si preferisce il più morbido “brutto male” al posto di cancro.

Ma la storia di Alessandro racconta anche di uno smisurato amore di una donna, sua moglie Monica, che non ha esitato a donare il proprio rene per garantire la sopravvivenza al marito e regalare un futuro felice alla propria figlioletta. Paradossalmente non è stata una scelta difficile: “Io non ho chiesto nulla – dice ancora Alessandro -. E come potevo? E’ una scelta così difficile, così radicale. Eppure appena i medici hanno detto che c’era la possibilità di una donazione ‘da vivo’ Monica era già pronta”.

Ma non è stato tutto così facile. C’era il problema della compatibilità sanguigna, e l’unico ospedale attrezzato per tentare questo tipo di intervento è a Padova. “Siamo andati più volte – dice ancora Alessandro – ho dovuto fare una profilassi per governare gli anticorpi che sarebbero entrati in azione al momento del trapianto. Poi è arrivato il fatidico giorno: entrambi in sala operatoria, lei è entrata prima, io dopo. Operazioni lunghissime, 9 ore e mezzo la prima 10 la seconda. Ai nostri genitori avevamo fornito una data sbagliata, per non farli stare in ansia”.

[cml_media_alt id='13924']trapianto2[/cml_media_alt] E invece è andato tutto bene. Al ritorno a casa ad Ardea, un paesino in provincia di Roma – hanno trovato tutti in piazza con gli striscioni a fare festa. Una sorta di liberazione collettiva dalla paura della morte che tutti abbiamo, ma anche un riconoscimento al coraggio di Monica e alla grandezza della sua scelta. Uno schiaffo alla superficialità con la quale spesso vengono nascosti i piccoli grandi gesti che definiscono la nostra esistenza.

“In quei giorni di ospedale – racconta Alessandro – ho conosciuto persone meravigliose che aspettano un donatore per poter vivere. Capisco che è un atto difficile ma è meraviglioso, perché è un atto d’amore che consente ad altri esseri umani di poter vivere i propri affetti, una vita serena con chi gli sta intorno. Lo dica alla gente, lo scriva, perché da noi se ne parla troppo poco”. Prima Alessandro non poteva organizzare neanche una gita; troppo stress, troppa fatica, e quella dialisi che lo aspettava dietro l’angolo. Ora tutto è diventato possibile, e il mondo ha ripreso colore.

Adesso lui che prima aveva due reni malati sta bene; Monica invece, che vive una condizione nuova con un solo rene accusa qualche problema in più. Ma è felice, soprattutto quando guarda sua figlia abbracciare il papà e passeggiare tenendosi per mano.

(ha collaborato Luigi Centore)