LA TERRA STA DIVENTANDO STERILE

Non è solo il riscaldamento globale a minacciare la salute della Terra. I veleni immessi nell’atmosfera sono soltanto una parte del più vasto problema legato all’opera dell’uomo. A poco più di un mese dalla pubblicazione dell’Enciclica “Laudato Si” la comunità internazionale si accorge di un altro cancro che, lentamente ma progressivamente, sta divorando il pianeta: la perdita di terreno fertile. La questione non va sottovalutata perché l’agricoltura per molti Paesi, specie quelli del terzo mondo, resta la principale fonte di sostentamento. Milioni di persone si sfamano con i prodotti di una terra sempre più incapace di soddisfare la domanda. Basti pensare che ogni anno vengono persi 24 miliardi di tonnellate di suolo fertile, cioè in grado di far germogliare grano, ortaggi e frutta, necessari tanto per gli uomini quanto per il bestiame e, dunque, per i pastori. Insomma, secondo quanto documentato nel report “World fertilizer trends and outlook to 2018” presentato ad Expo, proseguendo su questa strada nel 2050 la Terra non sarà in grado di garantire la sopravvivenza di tutti i 9 miliardi di abitanti previsti. Uno schiaffo all’umanità.

Dando per assodato che Marte è arido mentre Kepler 452B – il pianeta gemello scoperto pochi giorni fa – non sarà raggiungibile se non in qualche centinaio di anni l’idea di cambiare mondo o sistema solare non può essere presa in considerazione. E’ qui che dobbiamo continuare a scrivere il nostro destino. La prima cosa da fare è capire quali sono le cause dell’erosione. Ce ne sono diverse: all’inquinamento e alla cementificazione si aggiungono l’opera dell’atmosfera e degli organismi viventi, la contaminazione, la perdita di biodiversità, la salinizzazione, le frane e le alluvioni e la desertificazione. Quest’ultima interessa particolarmente le zone dell’Africa confinanti con il Sahara ma anche Arabia e, più in generale, ampi tratti del Medio Oriente. Problemi che, messi insieme, determinano un tasso di distruzione del territorio tra le 10 e le 40 volte superiori alla sue capacità di rigenerazione.

Ma come si argina il fenomeno? Gli esperti, nel presentare il dossier, hanno spiegato che occorre puntare sulla ricerca come leva di management e sfruttare l’agricoltura di precisione per distribuire fertilizzanti in modo mirato, preservando suolo ed ecosistema. L’allarme ha messo in luce l’urgenza di aumentare la produzione agricola per ettaro. Negli ultimi 50 anni la scienza agronomica ha fatto passi da gigante attivando piani di fertilizzazione che hanno aumentato la qualità del frumento tenero in funzione del suo tipo di utilizzo (per biscotti, pane, panificabile superiore, di forza) o della varietà e raggiunto precisi obiettivi a livello di contenuto proteico o glutinico.

“In parallelo l’orizzonte si è ampliato: dal campo si è passati all’unità di paesaggio, dalla singola coltura a un vero e proprio sistema in cui pratiche colturali, avvicendamento, gestione dei residui e lavorazioni del terreno cooperano per esaltare la fertilità dei suoli – ha sottolineato Antonio Boschetti, direttore de L’Informatore Agrario – In questo contesto più ampio il prodotto fertilizzante è un attore che esercita una azione corale e di primo piano, con prospettive di crescita”. Il rapporto Fao ha evidenziato che il consumo mondiale di fertilizzanti potrebbe superare i 200 milioni di tonnellate nel 2018, un dato del 25% superiore rispetto a quanto registrato nel 2008, con un trend di crescita annuo pari all’1,8%. Un incremento che riguarda in particolare i Paesi in via di sviluppo, dove questi mezzi tecnici sono oggi indispensabili alleati nella lotta alla fame.

“Se vogliamo sfamare il Pianeta e le popolazioni che oggi non hanno accesso al cibo – ha detto Francesco Caterini, presidente Assofertilizzanti – occorre un’agricoltura che sia economicamente e ambientalmente sostenibile e una conoscenza per ettaro dove il fertilizzante, inserito in un processo di autoregolamentazione in sinergia con le organizzazioni agricole, sia il più possibile efficiente nel rispetto del paesaggio”. Secondo Paolo de Castro, coordinatore S&D alla Commissione Agricoltura e Sviluppo rurale del Parlamento europeo e relatore permanente per Expo 2015, sentito da L’Informatore Agrario, solo “incrementando il livello di elaborazione, applicazione e condivisione delle conoscenze applicate agli agroecosistemi è possibile un più razionale utilizzo dei nutrienti, dell’acqua e dell’energia, una gestione dei suoli che contrasti l’erosione, un impiego consapevole e diffuso delle risorse nella lotta a parassiti e fitopatie”. La ricerca dovrebbe, dunque, “indicare strategie a lungo termine, riappropriandosi della capacità di progettare e costruire lo spazio dell’innovazione”. Prima che sia troppo tardi.