LA STORIA DEI RE MAGI

Magi (o maghi), regali, befane, calze e scope. Intorno alla festa (in realtà “solennità”) dell’Epifania regna una gran confusione. E, diciamoci la verità, non solo nella testa dei bambini… ma anche in quella di generazioni di adulti cresciute dopo l’invenzione della vecchietta “che vien di notte, con le scarpe tutte rotte” che elargisce dolci o carbone a bimbi buoni e “meno buoni”.

Eppure l’Epifania nel cristianesimo è un momento centrale della liturgia, tanto che, fino al Concilio Vatiano II, esisteva nel rito romano il Tempo d’Epifania, un periodo del calendario liturgico che durava sette domeniche consecutive, a partire dal 6 gennaio (Epifania del Signore) per proseguire con la I domenica dopo l’epifania (festa della Sacra Famiglia); II domenica dopo l’Epifania (Exsultat gaudio pater justi); III domenica dopo l’Epifania (Omnis terra adoret te), IV domenica dopo l’Epifania (Adorate Deum), V e VI domenica dopo l’Epifania. Così è tuttora nella forma straordinaria del rito romano ed anglicano.

Nella forma ordinaria, successiva alla riforma liturgica, il Tempo dell’Epifania è stato inglobato in parte nell’ultimo periodo del Tempo di Natale e in parte nel tempo ordinario; ma permane una delle massime solennità celebrate, assieme alla Pasqua, al Natale, a Pentecoste e Ascensione, ed è quindi istituita come festa di precetto.

Oggigiorno in pochi sanno (o ricordano dal catechismo) cosa celebri di preciso l’Epifania, complice un termine (“Epifaneia”) che, diversamente da molte parole in uso nella liturgia, non ha riscontri né assonanze con l’italiano. La sua etimologia è da ricercare nella lingua greca antica; infatti, questo termine deriva dal verbo “epifaino”, traducibile con: “mi rendo manifesto”. Sempre da questo verbo deriva anche la parola “epifaneia” che invece si traduce con “manifestazione, apparizione”.

Quindi il significato di “Epifania del Signore” si riferisce ai momenti della vita di Cristo durante i quali manifesta pubblicamente la sua natura divina. E’ di solito associata soltanto – ma erroneamente – all’immagine dei tre re magi che, seguendo la stella cometa, arrivarono presso la capanna del neonato Gesù “per adorarlo” e portargli in dono oro, incenso e mirra.

Una versione “romanzata” distante da quella evangelica, raccontata nel secondo capitolo di Matteo. L’evangelista riporta che “alcuni Magi – senza specificarne il numero – vennero da oriente a Gerusalemme” per adorare il re dei Giudei. Nei secoli, i magi vennero interpretati come i “Re Magi” per l’influsso di un versetto del profeta Isaia in cui dice del Cristo: “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere”.

Ai tre sono poi stati attribuiti i nomi di Melchiorre (semitico), Gaspare (camitico) e Baldassarre (iafetico), per includere tutte le genti vicine e lontane. Dunque, la prima delle Manifestazioni divine è già “universale”: non guarda allo status sociale (i primi ad adorare il bambinello furono dei pastori) né la religione, la razza o la nazione di provenienza.

I Magi seguirono per mesi la scia luminosa della stella cometa, che si posò sopra la capanna dove era nato il bambino. Secondo il Vangelo, i magi guidati in Giudea da una stella (o astro), portano in dono a Gesù bambino, riconosciuto come “re dei Giudei” oro (omaggio alla sua regalità), incenso (omaggio alla sua divinità) e mirra e lo adorano. Ma che cos’è la mirra? Si tratta di un unguento profumato usato anticamente per la mummificazione e la conservazione dei defunti, anticipazione della futura sofferenza redentrice del Cristo.

Da qualche anno l’Epifania ha subito l’attacco della laicizzazione delle festività cristiane, facendo la fine del Natale (ricondotto al panzuto e bonario Babbo Natale), di Ognissanti (ormai soppiantata dalla versione pagan-orrorifica di Halloween) dell’Assunta (a Ferragosto) e del coniglietto pasquale che, non si sa come, fa le uova di cioccolata.

Al posto dei magi, la modernità ha ripescato un antico rito romano, quello della dea Diana che, dodici giorni dopo il solstizio d’inverno, volava sui campi per favorirne i raccolti. Il tutto rimescolato in chiave consumistica, come avvenuto per le altre festività sopracitate, dove a contare davvero, più dei miti e dei riti, è in realtà il dio denaro.

Contro tale impoverimento spirituale, scrive Goffredo Boselli per l’Osservatore Romano, il compito primario della liturgia nell’età secolare è dunque quello di “rendere presente Dio in una società senza Dio”: “Se in passato i segni della presenza di Dio si potevano scorgere ovunque, nel re come nella legge, nella cultura come nell’arte, oggi il segno più eloquente e in certe situazioni perfino l’unico che rende Dio presente in un luogo è la comunità riunita in preghiera nel giorno del Signore”.

Nell’età secolare – è bene non dimenticarcelo – la manifestazione di Dio nel mondo siamo noi: la comunità che lo celebra e, prostrata, lo adora.