IO PAGO, LORO RUBANO

L’ultimo tassello del puzzle è stato sistemato proprio questo mese dai giudici contabili della Sezione giurisdizionale della Basilicata, ma sono anni che faticosamente si sta cercando di ricomporre l’immagine del buco nero che ha inghiottito per anni i soldi degli italiani. Quelli delle tasse, versate in cambio di servizi che non sono mai stati all’altezza dei tributi versati, anche perché quest’ultimi non arrivavano ai Comuni.

I Giudici della Corte dei Conti infatti, hanno condannato la Tributi Italia Spa a risarcire il paese di Scanzano Jonico di un milione 243mila euro – sentenza n.45/2015 – per il mancato versamento di denaro introitato con le tasse dei cittadini a fronte di un contratto per l’attività di accertamento e riscossione. Una società multiforme, che sotto il nome di Tributi Italia inglobava de facto decide di società miste pubblico-private costituite negli anni in tutta Italia. Alla fine delle indagini si contano circa 400 Comuni truffati, per un ammontare complessivo di circa 100 milioni di euro. Uno schiaffo all’equilibrio contabile del sistema Paese.

Parte di questo tesoro sarebbe finito addirittura nelle tasche di alcuni degli amministratori della società, che grazie a una serie di “scatole cinesi”, avrebbero usato i conti delle società minori come una bancomat personale. Ma certo i prelievi non erano di 250 euro…
Secondo la Finanza, il denaro sarebbe servito per yacht, aerei privati, soggiorni in località lussuose e feste mondane. Una situazione che parte nei primi anni 2000 e che fa sentire i suoi nefasti effetti ancora oggi, come testimonia la sentenza citata.

Secondo i giudici il meccanismo di gestione era molto semplice: comandava uno solo, gli altri erano tutti prestanome. Chi beneficiava della “polvere di stelle” era il cerchio magico vicino al dominus, fatto per lo più da parenti. Paradossalmente, la gestione di un impero finanziario che incideva pesantemente sul Pil dell’intera nazione era… a conduzione familiare.

Ma le famiglie, quelle vere, quelle che vivono i territori, hanno subito solo danni. I cittadini perché privati di servizi che avevano comunque pagato con le tasse, frutto di un duro lavoro quotidiano; e i dipendenti della Tributi Italia, finiti prima sul lastrico (già nel 2008 ce n’erano un migliaio che avevano perso il lavoro) e poi nel vortice di un’inchiesta devastante.

Un’indagine difficile, perché le mille società non solo avevano nomi sempre diversi ma cambiavano costantemente e repentinamente management. Tanto che i giudici, in sentenza, scrivono che questo fatto “lungi da costituire valida scusante per la responsabilità, evidenzia comportamenti che nella realtà consentono la parcellizzazione della responsabilità degli Amministratori, con conseguente, prevedibile effetto sugli eventuali addebiti per il mancato versamento dei tributi dovuti ai Comuni”. Insomma, per dirla con una parola sola, un escamotage. Che però non ha ingannato gli investigatori né “impietosito” i magistrati.

Al di là degli aspetti contabili, la questione ha avuto pesanti risvolti penali, con sequestri a Rapallo, Recco, Genova, Roma, Piacenza, alla ricerca dei prestanome che costituivano l’esoscheletro dell’intero meccanismo; il quale aveva ramificato da nord a sud.

Ecco dunque come per anni l’Italia ha visto sparire denaro dalle casse dei comuni; soldi mancanti che inevitabilmente hanno messo in difficoltà l’intera nazione e che, insieme alla crisi finanziaria globale, hanno contribuito a mettere in ginocchio il Paese.

Ironia della sorte, uno dei Comuni dove la società ha operato – truffando anche lì – è il veneto Rubano. Nel nome un destino… Ci sarebbe da sorridere, se non fosse che non solo i nostri concittadini veneti ma tutti noi ancora paghiamo le conseguenze di questo ennesimo incredibile romanzo criminale.