IL VERO VOLTO DELL’AUSTRALIA

L’Australia rappresenta un sogno per molti giovani italiani. Un Paese che funziona, sinonimo di modernità ed efficienza, un luogo dove cercare fortuna e ritrovare speranza. Ma è veramente così? È davvero quel paese che amici e media ci raccontano con entusiasmo, che viene spesso preso come esempio dai politici del nostro Paese per le sue strategie economiche e il suo successo nella lotta all’immigrazione clandestina? Danila Testolin, che ha avviato una casa famiglia per la Comunità Papa Giovanni XXIII a Sydney, la descrive una città ricca e dall’economia fiorente ma che accoglie nel sottofondo problemi gravi. “Il sistema australiano – commenta Danila – funziona in maniera splendida a livello organizzativo ma pecca a livello umano”.

 “È una società che tende a creare aree, settori, a mettere tutto ordinato in una scatola, a dare delle risposte precise a un bisogno preciso rischiando però di non vederlo nella sua globalità. Ti danno tutti gli strumenti per essere autonomo ma non è detto che una persona ci riesca, c’è molta solitudine. Manca l’inserimento nella comunità, anche per esempio per quanto riguarda gli anziani, quasi sempre confinati nelle case di cura”, spiega Danila. L’Australia è una realtà diversa da quella che può essere l’Africa, non ti mette a contatto diretto con le tragedie della fame e della povertà, non provoca quelle sensazioni intense e primitive che si hanno guardando un bambino malnutrito negli occhi, ma ci sono comunque persone che hanno bisogno di aiuto, in “una civiltà avanzata e occidentale dove le emozioni sono più attutite e la povertà ti urla meno dentro”.

A farne le spese sono i membri più deboli della società, i giovani e gli anziani. “È un fatto culturale – continua la missionaria dell’Apg23 – un’idea di famiglia diversa, una società di modello anglosassone con individui che devono essere indipendenti molto presto”. Un’indipendenza “forzata” che spesso però porta all’isolamento personale, alla depressione, all’alcolismo e alla tossicodipendenza. E le nuove tecnologie non aiutano a contrastare il fenomeno; nell’era dei social media ogni uomo è un’isola nel mare di internet, e proprio le tecnologie che dovrebbero servire ad avvicinarci invece ci allontanano, rendendo sempre più difficile comunicare in maniera onesta e sincera con un’altra persona, perché sul web ogni cosa è permanente ed esporsi personalmente è scoraggiato.

La Casa Famiglia di Danila è nata da un appello dell’Arcivescovo della chiesa Melchita in Italia; l’iniziativa in Australia accoglie, ormai da 11 anni, persone bisognose dal più disparato background etnico e di fede, aiutando rifugiati, donne vittime di violenze domestiche e uomini in difficoltà. La Comunità offre anche asilo a numerosi giovani emigrati italiani che muovono i primi passi nel Paese, spesso bersaglio di sfruttamento soprattutto da parte dei “contractors”, veri e propri “caporali” che reclutano giovani per il lavoro nei campi nell’outback australiano.

Nel gennaio del 2015 la Comunità è stata ufficialmente riconosciuta dalle autorità australiane ed ora c’è volontà di espandersi, con progetti che vanno dal fornire aiuto e riabilitazione ai barboni alla creazione di un centro di accoglienza diurna, ma manca personale, anche se, grazie al progetto “Caschi Bianchi” per il servizio civile all’estero, stanno arrivando diversi giovani volontari nella Comunità. “Avere più persone significa avere più forze e possibilità di creare nuovi rapporti di conoscenza reciproca e collaborazione”, ha commentato il responsabile della Zona Australia dell’Apg23, Marco Panzetti, che continua: “Nell’immediato collaboreremo con vari enti nell’animazione per i profughi, anche qui un grande problema, e per i giovani. È un momento molto favorevole e preghiamo anche che ci siano fratelli di comunità che vogliano venire in missione in Australia. Fondamentale, però, è conoscere la lingua inglese”. Una terra difficile, dunque, a dispetto delle descrizioni paradisiache, dove c’è tanto da fare. Per sé, se si vuole tentare la fortuna; per gli altri, se si ha il coraggio di provare a cambiare non solo la propria vita ma anche quella dei più disperati.

Tratto liberamente da “Sempre”