HAWKING, L’UOMO SEDUTO TRA LE STELLE

Essere liberi nella mente, oltre la prigionia del corpo. Continuare a svolgere il proprio lavoro, grazie a una genialità innata che ti spinge a guardare più in là della malattia. Studiare, ricercare, trasmettere il proprio sapere per costruire una nuova generazione di scienziati in grado di portare più in alto possibile l’asticella della conoscenza. E arrivare a un passo dal riconoscimento più ambito: il Nobel. Quella di Stephen Hawking, arcinoto fisico britannico, è una storia unica nel suo genere. Uno schiaffo a chi ha della vita una visione limitata, legata solo ai gesti quotidiani, e non tiene conto delle immense potenzialità di cui ogni essere umano è dotato.

Prestigioso accademico, dedito allo studio della teoria dei buchi neri, della relatività e dell’origine dell’universo, all’inizio degli anni 60 scopre di essere afflitto da una misteriosa malattia del motoneurone. Una patologia gravissima e ignota (alcuni sostengono si tratti di Sla ma la sopravvivenza a oltre 50 anni dalla diagnosi sembra escludere questa possibilità) che lo costringe nei decenni successivi a una progressiva perdita della capacità motoria. Oggi Hawking è completamente paralizzato, le funzioni vitali gli sono assicurate da una serie di ritrovati tecnologici e riesce a comunicare solo grazie a un sintetizzatore vocale che gli dà la caratteristica voce robotica cui non ha mai voluto rinunciare. Una sorta di “marchio di fabbrica” sui cui lo stesso scienziato ha spesso ironizzato, come testimoniano i cammeo in serie tv come “I Simpson”, “I Griffin” e “The Big Bang Theory”. Perché Hawking sa ridere della sua tragedia e con questo dà speranza a migliaia di persone che si trovano nelle sue stesse condizioni.

Nella sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti; gliene manca solo uno: il Nobel per l’appunto. Ma anche questa sfida potrebbe essere vinta. Recentemente un’esperimento condotto in Israele potrebbe confermare la teoria (elaborata 42 anni fa insieme al collega Jacob Bekenstein, scomparso nel 2015, e accolta con scetticismo dalla comunità scientifica) della “vaporizzazione dei buchi neri”.

Secondo gli studi dei due fisici all’interno di questi misteriosi corpi celesti, i quali nascono dall’implosione di stelle giganti e producono una forza di gravità in grado di ingurgitare qualunque cosa passi oltre un confine chiamato “orizzonte degli eventi”, esisterebbero delle particelle infinitesimali che gradualmente rubano piccole frazioni di energia al buco nero a partire dai suoi margini per poi sparire. La loro azione fa sì che il mostro galattico “evapori lentamente nel tempo, espellendo in una esalazione di calore tutta la polvere, la luce e le stelle passate che aveva ingoiato”. Questa visione sarebbe stata dimostrata dal test dell’israeliano Jeff Steinhauer, il quale sostiene di aver creato in laboratorio l’equivalente di un minuscolo buco nero: ha raffreddato dell’elio a temperature bassissime, vicine allo zero assoluto, e lo ha agitato velocemente, al punto da ottenere una barriera invalicabile dai suoni, proprio come l’orizzonte degli eventi. A questo punto avrebbe estratto da questo buco nero tracce dei pacchetti di energia che costituiscono le onde sonore, chiamati fononi: proprio come prevede la teoria di Hawking.

Per ora permane un certo scetticismo sull’esperimento. Secondo Salvatore Capozziello, dell’università Federico II di Napoli, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e presidente delle Società Italiana di Relatività Generale e Fisica della Gravitazione (Sigrav), perché possa avere il successo sperato il test dovrebbe “ricreare in laboratorio tutte le leggi della termodinamica dei buchi neri”. Perplesso anche Carlo Cosmelli, dell’università Sapienza di Roma, per il quale l’esperimento di Steinhauer “è simile a quelli che vengono fatti da una decina di anni su materiali che possono avere vibrazioni meccaniche”.

Serviranno, probabilmente, ancora molti anni prima che la teoria possa eventualmente essere dimostrata scientificamente. Se così fosse Hawking sarebbe il primo, insieme a Bekenstein, ad agguantare la chimera della scienza moderna: l’unificazione delle forze fondamentali della natura (ossia quelle elettromagnetica, debole e forte) con la gravità. Una scoperta che sarebbe paragonabile alla dimostrazione della teoria della relatività generali di Albert Einstein. Ma soprattutto un traguardo straordinario per un uomo che non ha mai smesso di viaggiare tra le stelle.