GANDHI E L’INDIPENDENZA DELL’INDIA

Quando il governo inglese chiude totalmente ogni trattativa con il movimento indipendentista indiano, il Mahatma Gandhi decide di scrivere una risoluzione che non ammette repliche. Con il documento “Quit India” viene richiesto agli inglesi di lasciare il paese e il governo al popolo indiano. Un deciso invito alla più grande ribellione nonviolenta della storia che si materializza l’8 agosto 1942 con l’organizzazione, in tutta l’India, di grandi manifestazioni di protesta. Ad esse il governo britannico reagisce con arresti di massa, violenze e repressioni senza precedenti, di cui restano vittime familiari e stretti collaboratori, arrestati a Bombay insieme allo stesso Gandhi.

Dalla prigione di Aga Khan a Pune, il leader indiano continua a professare la satyagraha, la sua filosofia basata sulla ricerca della verità cui l’uomo deve tendere con amore del prossimo e rifiutando ogni forma di violenza. Gravemente ammalato di malaria e dissenteria, due anni dopo Gandhi esce di prigione per essere curato, giusto in tempo per vedere concretizzarsi il grande obiettivo per cui ha lottato nel corso della sua esistenza: verso la fine del 1943, il governo inglese annuncia che a guerra conclusa lascerà il paese agli indiani. Gandhi risponderà proclamando la fine della lotta.