DALLE PALME ALLA CROCE

Gesù entrò in Gerusalemme al massimo della sua popolarità. La città lo stava attendendo, perché si avvicinava la Pasqua. Il tempio lo aspettava per tendergli insidie – anzi ucciderlo – ma molti – il popolo – erano affascinati da lui e lo aspettavano, tanto che mentre si avvicinava a Gerusalemme da Betania in tanti gli andarono incontro festanti, con rami di ulivo e palma, unendosi alla folla che già lo seguiva. Gridavano “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele” (Gv 12,13). Parole con cui riconoscevano in Gesù un inviato di Dio, nello specifico il Messia.

La speranza di Gerusalemme

Gerusalemme era festante, tanto da violare quanto stabilito dai capi del Sinedrio, secondo cui chi avesse aderito alla dottrina del Nazareno sarebbe stato espulso dalle Sinagoghe (Gv 9,22). Il miracolo della risurrezione di Lazzaro aveva ribaltato tutto nella città santa, ma non l’equivoco di interpretare Gesù come Messia capace di dare trionfo militare e politico a Israele. L’ingresso fu trionfale: il popolo si aspettava la liberazione da Roma, la riforma del tempio e il ritorno a una vita basata sull’osservanza della Legge come potenza redentrice.

Un Messia diverso

La gente vide l’ingresso del Signore in città come un atto di coraggio, poiché era stato interdetto dal Sinedrio. Ma era pronta a difenderlo se ce ne fosse stato bisogno. Non sarà così. Gesù stava, infatti, andando verso la morte, e i rami di ulivo e di palma di lì a poco sarebbero stati dimenticati. Pochi giorni dopo la folla aderirà al potere del Sinedrio, che sembrerà il più forte. Cristo cavalcava un umile giumento, non aveva armati attorno a lui, ma il popolo sperava in lui, nella sua capacità di fare prodigi perché Dio era con lui. E pensava che prima o poi sarebbe arrivato il momento della battaglia. Per questo Pietro, nell’Orto degli Ulivi, sfodererà la spada e taglierà l’orecchio di una delle guardie arrivate per catturare Gesù.

In cammino verso la morte

Noi festeggiamo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme ammirando il suo coraggio, la sua obbedienza alla volontà del Padre, il suo camminare verso la morte. Lo celebriamo con rami di ulivo e di palma, ma nello stesso tempo nello stesso tempo riflettiamo, andiamo oltre il pensiero terreno dei giudei di quel tempo e lo vediamo camminare verso la croce. Anche dal popolo di Gerusalemme l’arrivo del Nazareno era visto come un evento salvifico, ma volevano il loro tipo di salvezza. Gesù ne attuerà un altro: la liberazione dal peccato, dalle sue catene, per aprire agli uomini le porte del suo Regno.

L’errore dei giudei

Giovanni cita un passo di Zaccaria (Gv 12,15): “Non temere, figlia di Sion! Ecco il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina”. Così, disarmato, umile, mite, Gesù entra in una Gerusalemme festante. La gente, che di lì a poco seguirà i suoi capi religiosi, è ugualmente abbracciata e amata da Cristo, venuto a salvare non solo lei, ma tutti gli uomini di ogni etnia e nazionalità (1Gv 2,2). Per aver rifiutato il suo vero Messia la città cadrà in rovina. Sfodererà una inutile spada per vincere Roma, e sarà sconfitta, ma troverà sempre in Gesù la sua salvezza. Israele (Cf. Rm 11,25) un giorno si aprirà a Cristo, e già oggi gli onesti di quel popolo, pur sotto il velo (2 Cor 3,15) imposto dai capi nei secoli, sono salvi per mezzo della morte del Signore.

Gloria attraverso il dolore

Gesù venne catturato, consegnato a Pilato, flagellato, e il popolo non vide più l’uomo dei miracoli, ma quello della debolezza; fragilità apparente perché aveva in sé la potenza immensa dell’amore. L’immagine più grandiosa di Cristo è quella che lo raffigura con la corona di spine, flagellato, avvolto in un cencio di porpora e con una canna in mano, mentre viene presentato al popolo. Poteva chiedere al Padre la forza di legioni di Angeli (Mt 26,53), ma non avrebbe vinto. Poteva trionfare solo attraverso l’amore. Infatti, nessuno di noi riconosce il male che è in sé se prima non è amato e Gesù ci ha amati per primo.

Opportunismo

La gente lo vide debole, flagellato e lo rifiutò. Gli preferì Roma, nonostante la odiasse, e il Sinedrio, che trovava disgustoso. Si schierò con chi gli sembrava più forte. E’ questa la debolezza dell’uomo: aderire alla potenza della terra, dimenticando quella del cielo. Spesso capita anche a noi: presi dall’euforia del momento finiamo col dimenticarci la croce. Eppure è solo grazie a essa che si conquista. Non si ottiene niente dal compromesso con il potere secolare, per finalità terrene, nell’illusione che il saper mediare faciliti la diffusione del Vangelo.

Niente compromessi

Satana, stratega del male, presentò a Gesù nel deserto il compromesso, proprio con lui, offrendosi di procurargli ogni facilitazione per dargli potere in terra. Ma sarebbe stata un’autoaffermazione intrisa di egoismo, di disamore, di altezzosità. Il mondo, tenuto in pugno dal Maligno (1Gv 5,19), offre sempre il compromesso; se lo rifiuti, e devi farlo, poi ti affronta con il dolore, come accadde con Cristo. Ma l’amore vince e sono i miti ad essere i veri conquistatori, quelli che erediteranno la terra.

Vessillo di vittoria

Mai dimenticare la croce. Oggi, gioiosi, penitenti, vinti dall’amore di Cristo, è necessario festeggiare. Ben si può dire che nella celebrazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, noi esaltiamo la croce, segno di tormento certo, ma anche e soprattutto vessillo di vittoria. Questo intende la Chiesa, che nella Messa odierna, ci fa proclamare la Passione di Cristo.

di padre Paolo Berti, frate cappuccino, membro del Gris