CON NIZZA, IL MONDO È IN LUTTO

Qualcuno giura di averlo udito pronunciare l’ormai temuta frase “Allahu Akbar”, “Dio è grande”, quel tunisino che, armato di un tir, ha fatto strage di quasi un centinaio di persone che ignare facevano festa. Ha usato un’arma “non convenzionale”, che con amara probabilità possiamo ritenere non resterà l’unica, appunto, atipica. Non è importante, se l’abbia detto o no. E non è importante se sia trattato di un attentato terroristico o di un terribile atto di un folle invasato. Non fa la differenza, per le persone uccise e quelle ferite. Non cambia molto, se sarà rivendicato dall’Isis o se si dimostrerà che si è trattato del gesto meditato in solitudine da un pazzo disadattato per aderire a un appello lanciato dai capi dei gruppi jihadisti. Ciò che conta, ed è molto importante, è che la violenza è dentro casa, in Europa, e siamo tutti inermi, totalmente impreparati e confusi. Siamo attaccati, perché facilmente attaccabili.

Una lunga scia di sangue, in questi ultimi trenta giorni, ha accomunato l’intero globo senza rispettare confini fisici o politici, con la stessa matrice dell’integralismo religioso. Un enorme carico di terrore, violenza e lutti  si è abbattuto su tanti innocenti. In Somalia, nel centro di Mogadiscio, 35 persone sono state uccise durante un attacco terroristico davanti ai cancelli dell’Hotel Nasa-Hablod. In Iraq, si è verificato il più sanguinoso attentato dalla caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003: a Baghdad, nel quartiere di Karrada, un automezzo imbottito di esplosivo è stato fatto saltare in aria da un kamikaze. Sette persone sono state trucidate dai miliziani fondamentalisti di Boko Haram nel nord est della Nigeria, nei pressi della frontiera con il Camerun. All’aeroporto di Atatur, a Istanbul, in Turchia, tre attentatori suicidi hanno provocato la morte di 47 persone e il ferimento di oltre 200. In Bangladesh, a Dacca un commando di sette terroristi ha fatto irruzione all’interno del ristorante Holey Artisan Bakery, situato nel quartiere diplomatico della capitale, lanciando granate. Agli ospiti del locale, presi in ostaggio, hanno chiesto di recitare un versetto del Corano, e chi non è stato capace è stato orribilemnte torturato e poi ucciso. Nell’attacco sono morti due poliziotti e 22 civili tra cui nove italiani. Dieci, perché una giovane donna tra loro era incinta.

Il pericolo è diffuso, ogni luogo del pianeta, del nostro quartiere, può al’improviso trasformarsi in un incubo di paura e di morte, in un campo di battaglia. Il dolore e la violenza non conoscono confini.

La sicurezza nei nostri cosiddetti Paesi civilizzati mostra tutte le sue falle. E quanto è accaduto è la testimonianza della nostra stupidità e pericolosa superbia, nel credere di essere più forti e sicuri, nel pensare di poter tenere fuori dalle porte occidentali le guerre che noi stessi, il più delle volte, abbiamo infiltrato nel vicino continente. La guerra non è un gioco, come a Risiko. Non si tirano dadi, con la sofferenza e la disperazione della gente, e neanche con la violenza e la pazzia.

Il mondo è complesso, ce lo dicono gli esperti da oltre un secolo, disegnando teoremi, algoritmi e grafici di ogni tipo. Prevedere l’imprevedibile è stata la sfida degli scienziati di fine secondo millennio. Ma l’essere umano non è soltanto complesso, è proprio complicato e contorto, e dunque, imprevedibile davvero, oltre ogni immaginazione. Una farfalla uccisa in qualche Paese africano lancia l’urlo di dolore dal sottosuolo fino a scuotere la terra su cui poggiamo i nostri piedi, convinti che siano ben fermi. I terremoti sociali arrivano improvvisi e devastanti. E non c’è esperto di strategie politiche che possa difenderci, anticipando mosse sullo scacchiere planetario per poter arrivare allo scacco matto.

Siamo insicuri, in modo assoluto. Non abbiamo forze fisiche, militari e monetarie per contrastare la minaccia. Questa è la realtà, non fantascienza. A poco servono quei poveri nostri militari armati di mitra a qualche angolo sperduto delle Capitali. Sarebbero soltanto vittime certe in un eventuale attentato. La sola arma per difenderci è vecchia e conosciuta, benché abbandonata. L’arte della diplomazia e lo strumento, validissimo, di una reciprocamente vantaggiosa pace.

Dio è grande, ed è Dio di verità e di pace. “Nella verità, la pace”, fu il titolo del Messaggio di Papa Benedetto XVI per la Giornata mondiale della Pace nel 2006. Una lezione universale, che funziona come consiglio strategico per affrontare la complessità della situazione che stiamo vivendo, come continente europeo e come umanità di questo tempo. La verità è la via per la pace. Oltre le retoriche del momento, anche oltre i giusti pianti di dolore per le perdite dei nostri cari connazionali e fratelli in cultura e civiltà, siamo chiamati a un atto di onestà intellettuale e morale, a riconoscere le nostre responsabilità per decenni di lacrime e sangue di altri fratelli in umanità, ai quali abbiamo assistito indifferenti e in qualche caso ne siamo stati noi stessi, attraverso le scelte dei nostri rappresentanti politici, la causa.

Uniti nella verità, potremo agire insieme, “tutti gli uomini di buona volontà”, affinché questo mondo, così complesso, non sia il più brutto dei mondi possibili da consegnare a chi verrà dopo di noi