COLDIRETTI, PIZZA “DOC” PER L’EXPO’ IN ATTESA DEL RICONOSCIMENTIO UNESCO

Ucraina

Una pizza “Made in Napoli Doc”. È questa l’idea partorita dalle fila della Coldiretti – il principale sindacato italiano degli imprenditori agricoli – e sfornata giovedì nel capoluogo campano come simbolo dell’Expo 2015. L’iniziativa ha preso il via non casualmente nel giorno di mobilitazione promosso dal sindacato nazionale in occasione della convocazione della Commissione italiana Unesco a Roma per il via libera all’inserimento dell’Arte dei Pizzaiuoli napoletani nella “Lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità”. La Coldiretti, per pubblicizzare sui social la giornata, ha lanciato su Twitter l’hashtag #pizzaunesco.

A sfornare la pizza Expo, l’Antica Pizzeria Brandi di Napoli dove la leggenda vuole che nel giugno 1889 il cuoco Raffaele Esposito fu convocato al Palazzo di Capodimonte, residenza estiva della famiglia reale, per preparare alla Regina Margherita di Savoia le sue famose pizze. Per onorare la sovrana, Esposito creò così la pizza Margherita, dove i condimenti, pomodoro, mozzarella e basilico, rappresentavano la bandiera italiana.

La pizza Expo punta a valorizzare l’identità nazionale in un momento in cui 2 pizze su 3 sono ottenute da un mix di prodotti stranieri. Per questo, nel tempo della globalizzazione, diventa fondamentale difenderne l’identità. “La pizza simbolo dell’Expo 2015 è stata realizzata con ingredienti napoletani “Doc” – sottolineano dalla Coldiretti partenopea – come la “Mozzarella di Bufala Campana”, l’extravergine “Penisola Sorrentina”, il “Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino” e il “Pomodorino del piennolo del Vesuvio”, tutti rigorosamente a denominazione di origine protetta riconosciuti dall’Unione Europea.

“Troppo spesso – prosegue la Coldiretti – viene servito un prodotto preparato con mozzarelle ottenute non dal latte, ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall’est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo o addirittura olio di semi al posto dell’extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale”.

“Un fiume di materia prima che ha purtroppo compromesso notevolmente l’originalità tricolore del prodotto servito, ma anche le formidabili opportunità occupazionali che possono venire nell’agroalimentare nazionale” ha ribadito il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “garantire l’origine nazionale degli ingredienti e le modalità di lavorazione significa difendere un pezzo della nostra storia, ma anche la sua distintività nei confronti della concorrenza sleale”.