C’E’ CHI SCAGLIA LA PRIMA PIETRA

In questi giorni il mondo ha assistito ancora una volta agli orrori del fondamentalismo. Non bastavano i video sulle decapitazioni degli operatori occidentali in Siria e Iraq. L’Isis prosegue, senza tregua, la sua opera di destabilizzazione del Medio Oriente e, contestualmente, di indottrinamento delle nuove generazioni di musulmani, attraverso l’esaltazione degli aspetti più brutali e sanguinari dell’integralismo.

Lo dimostra l’ultima, choccante, clip diffusa in rete dallo Stato Islamico. La registrazione mostra una ragazza lapidata alle porte di Aleppo. Accusata di adulterio viene legata, chiusa all’interno di un sudario, messa in una buca e colpita dal lancio di decine di pietre fino a spirare. Tra le mani assassine c’è anche quella del padre. Un particolare drammatico che descrive in modo ancor più chiaro quale sia la condizione di mogli e figlie lì dove l’intolleranza religiosa regna sovrana. Schiave dei mariti, della famiglia, costrette ad accettare ogni punizione senza possibilità di difendersi, private di una legge che le tuteli. La donna prova a chiedere perdono al genitore, interviene anche qualcuno dei presenti per convincerlo a darle la sua personale assoluzione. Ma l’anziano uomo non ha scrupoli: dice che sarà Allah a giudicarla in ogni caso. Per la ragazza non c’è speranza. Lancia un messaggio alle sue coetanee: “non commettete adulterio”. Poi recita la preghiera per ottenere la redenzione, l’ultima supplica prima di essere ammazzata.

Alcuni oggi s’interrogano sull’originalità del filmato. Diversi elementi non tornano e qualcuno pensa a un falso. Ma se anche si trattasse di un fake non lo sarebbe la realtà ad esso sottesa. Perché attraverso l’esaltazione della violenza più bieca l’Isis manda un doppio messaggio. Il primo è all’Occidente “infedele”, svegliato, strattonato e violentato dalle immagini delle efferate esecuzioni messe in atto dagli jihadisti. Il secondo è rivolto agli stessi musulmani: un monito a seguire la “legge voluta da Dio”. La stessa che, oltre a calpestare la libertà e la dignità delle donne, giustifica l’uccisione di chiunque si discosti dal tracciato di un’ortodossia frutto di un’interpretazione distorta del dettato coranico. Così è, ad, esempio per la lapidazione, supplizio cui, ogni anno, vengono destinate decine (forse centinaia) di persone, soprattutto di sesso femminile. Il libro sacro dell’Islam non la richiama espressamente. Essa invece compare nella Sunna, vale a dire la tradizione del profeta Maometto. E’ prevista per i reati che offendono la “morale pubblica”, in particolare il tradimento coniugale.

Secondo l’ultimo rapporto dell’organizzazione abolizionista “Nessuno tocchi Caino” essa è legale per l’adulterio “in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Nigeria (in un terzo dei 36 Stati del Paese), Pakistan, Somalia, Sudan e Yemen”. In alcuni Stati, come Mauritania e Qatar, pur essendo prevista dalla legge non è stata mai applicata dal sistema giudiziario. In Iraq, Afghanistan, Siria e Mali, invece, avviene esattamente l’opposto. Sotto la spinta dei gruppi fondamentalisti la lapidazione viene attuata in via extralegale. Ed è proprio questa forma che, ogni anno, causa più morti. Una pratica difficilmente arginabile, visto che, in assenza di sentenze, non è possibile capire dove e quando le esecuzioni vengano effettuate. Atroce è la modalità di esecuzione. Il condannato viene avvolto da capo a piedi in un sudario bianco e interrato. La donna viene sepolta fino alle ascelle, mentre l’uomo sino alla vita. Un carico di pietre viene portato sul luogo e funzionari incaricati attuano il supplizio. I sassi non devono essere così grandi da provocare la morte con uno o due colpi, in modo che il decesso avvenga in modo lento e doloroso. Nel caso in cui la vittima sopravviva verrà graziata ma dovrà essere imprigionata per almeno 15 anni.

Ma sbaglierebbe chi guardi a questo orrore come a una realtà lontana, attuata da popoli barbari. Perché la lapidazione non è tanto più crudele della sedia elettrica, dell’iniezione letale, della fucilazione o dell’impiccagione. Pene capitali presenti anche nel “civile” Occidente. E, in particolare, in molti di quegli Stati che si sono arrogati il diritto di diffondere democrazia e libertà in Medio Oriente. La vicenda di questi martiri dell’intolleranza è, dunque uno schiaffo all’ipocrisia di chi inorridisce davanti alle efferatezze commesse da altri popoli ma poi giustifica (per labili motivazioni di giustizia sociale) la sua personale cultura della morte.