007 ANTI-ISIS, I GUARDIANI DELLA MEMORIA

Manca solo George Clooney. Ma se tra i nuovi 007 che si muovono nell’area siriana per cercare di salvare il patrimonio dell’umanità ci fosse un sosia dell’attore americano che ha impersonato uno di “Monuments man” non lo sapremo mai. Lavorano infatti nell’ombra, con il rischio costante di entrare nel mirino dei jihadisti.

Non sono nati come 007, ma lo sono diventati per circostanza. Un po’ come accadde a trecentocinquanta valorosi (uomini e donne, appartenenti a ben tredici Paesi diversi) che, tra il 1943 e il 1951, prestarono servizio presso la Mfaa (Monuments, Fine Arts and Archives); un gruppo di persone colte ed appassionate – per lo più senza esperienza militare, poiché erano restauratori, archivisti, direttori di musei, esperti di arti figurative, archeologi – in servizio presso gli eserciti alleati durante il secondo conflitto mondiale ed inviate in Europa, divenuta campo di battaglia, con una precisa missione: recuperare i capolavori dell’arte.

Oggi quei capolavori non vengono minacciati dal nazismo ma da un altro fondamentalismo: quello islamico.
La distruzione di capolavori d’arte come di interi siti archeologico da parte dell’Isis, volontà manifestata già da qualche tempo e messa in pratica ultimamente con sistematica ferocia, rappresenta un pericolo; uno schiaffo alla memoria storica dell’umanità. Ecco perché già da tre anni, il direttore generale di Antichità dei musei della Siria, Maamoun Abdilkarim, ha organizzato una truppa di 2.500 funzionari con il preciso scopo di recuperare e nascondere quanti più “tesori” possibile. Per ora salvato in un bunker di Damasco ci sono circa 300.000 pezzi, ma l’azione instancabile – e pericolosa – di questi 007 della cultura non si ferma.

Nonostante l’attenzione internazionale su Tadmour, nome in arabo della città di Palmira, Abdulkarim avverte che numerosi giacimenti vengono spazzati via. “Stiamo assistendo alla distruzione di una delle più belle città islamiche del mondo “, dice in riferimento al centro storico di Aleppo, anche patrimonio mondiale. “Se si continua così, in due anni scomparirà”. Più di 150 palazzi antichissimi sono stati danneggiati, senza contare le centinaia di case tradizionali e boutiques del suq. Tra le strette vie della città vecchia di Aleppo, che porta alla fortezza e la Moschea degli Omayyadi, non è difficile trovare bazar pieni di reperti archeologici, e per le strade cecchini e soldati che sventolano bandiere di ribelli e integralisti.

Non è vero, dunque, che i jihadisti distruggono tutto. Anzi. Fanno esplodere ciò che non possono spostare, come i templi, e con queste azioni fanno propaganda; ma poi mercanteggiano sul resto. Un articolo del “The Times” ha svelato come monete e ceramiche antiche, ma anche dipinti e gioielli razziati dai militanti dell’Isis in Siria e Iraq, venissero addirittura venduti su E-Bay, ovviamente al miglior collezionista offerente. Secondo l’Unesco i furti di reperti avverrebbero addirittura su commissione, come quello del mosaico romano ad Apamea, nella Siria occidentale. El Pais, invece, in una sua inchiesta traccia la rotta dei contrabbandieri islamici che, dopo aver razziato i luoghi d’origine con la complicità della popolazione locale, invia i reperti attraverso la Turchia e il libano per farli arrivare nelle mani dei grandi mercenari di arte di Stati Uniti, Cina, Europa e Golfo.

La vendita dei reperti razziati nei luoghi occupati dal Califfato può fruttare decine di milioni di euro; d’altra parte lo Stato Islamico deve rimpinguare le casse, e non potendolo fare tassando una popolazione impoverita dalla guerra, lo fa sfruttando le risorse che ha sotto mano: petrolio e arte.

Contro tutto questo, quel manipolo di coraggiosi archivisti trasformati in spie, ogni giorno combatte la propria battaglia. I guardiani della memoria non dormono mai.