Russo (Acli): “Ogni stato si assuma la responsabilità di accogliere vite umane”

L'intervista di Interris.it ad Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli, in riguardo alle tematiche migratorie

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Nell’ultimo lustro le migrazioni hanno raggiunto cifre ragguardevoli: oltre 230 milioni di persone sono in movimento nel mondo, un numero cresciuto del doppio rispetto al decennio passato. Sessanta milioni di persone sono state costrette a emigrare a causa di guerre, persecuzioni e cambiamenti climatici. Nelle ultime settimane, le immagini che arrivano da Lampedusa, ci raccontano le tensioni, le fatiche e le paure, ma ci riportano a situazioni già viste e ci dicono che una nuova pagina nella storia delle migrazioni si sta aprendo ed è necessario trovare delle soluzioni in grado di mettere sempre al centro le persone. Interris.it, in merito a questo tema ed ai provvedimenti necessari da introdurre, ha intervistato Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli e portavoce nazionale dell’Alleanza contro la Povertà.

Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la Povertà (© Acli)

L’intervista

In questo periodo ci troviamo di fronte ad una ondata migratoria importante. Come dovrebbe essere affrontata secondo lei?

“Ci troviamo di fronte ad un’ondata migratoria importante ma non è la più importante della nostra storia. Nel corso della vita repubblicana, il nostro paese ha gestito anche dei numeri di arrivi più importanti. Ricordo, ad esempio, lo sbarco degli albanesi a Bari, una situazione che è stata gestita con onore, tanto che viene ancora ricordata nella storia delle migrazioni come una vicenda di grande accoglienza. Venendo ad oggi, gli sbarchi del 2023, sono circa 130 mila ma, in altri periodi della storia recente, sono stati accolti numeri maggiori senza decretare lo stato d’emergenza. Ciò non significa che, tale situazione, non debba essere gestita meglio da una serie di soggetti che entrano in gioco quando, dei cittadini provenienti da altri paesi del mondo, varcano la soglia dell’Europa attraverso Lampedusa o altre rotte migratorie. Questa è la porta dell’Europa, non è soltanto retorica o demagogia. I maggiori numeri di migranti sono stati gestiti da cinque paesi europei e gli altri, se hanno contribuito, lo hanno fatto molto poco rispetto a ciò che avrebbero dovuto fare in riguardo ad una redistribuzione delle persone che fuggono da guerre, persecuzioni e regimi le quali, in qualche modo, sono portatori di diritti. Ricorderei sommessamente che si parla di persone e con esse migrano anche i diritti propri di ogni essere umano.”

Alla luce di ciò, come si dovrebbero affrontare le migrazioni alla luce del contesto internazionale e dell’appartenenza europea?

“Lo ripetiamo da anni e lo abbiamo detto quando i numeri erano sicuramente inferiori a quelli attuali. Ci avvisavano però che, la situazione, sarebbe potuta precipitare, considerando lo scenario nordafricano in cui ci sono governi instabili, come la Libia, o interlocutori politici, come la Tunisia o altri, che hanno enormi problemi interni e utilizzano il fenomeno migratorio come materia di trattativa per avere risorse aggiuntive. Lo si vede dagli accordi falliti tentati da più governi. Lampedusa è la frontiera europea ed italiana e i confini non si possono spostare. L’Europa e anche l’Italia però, da un certo punto in avanti, piuttosto che immaginare politiche di accoglienza per cui abbiamo ricevuto complimenti da molti stati europei, attraverso il sistema Sprar, si sono orientate in un’altra direzione. Quando, invece dell’accoglienza, si producono situazioni come quella di Lampedusa o altre grandi città dovute alla mancanza di programmazione, si alimenta inutilmente la paura nelle persone. È chiaro che, se non c’è una programmazione, non c’è un’idea di come le persone devono essere accolte. In molte circostanze, noi ci troviamo di fronte ad un processo di assoluta negazione della programmazione. È necessario tornare a programmare e scegliere se la strada da seguire è l’accoglienza o il respingimento tout court. L’Italia è un grande paese che compone l’Unione Europea e, con essa, abbiamo assunto degli obblighi. Stare dentro una comunità sovranazionale significa anche assumere degli obblighi e non soltanto godere di alcuni privilegi. Siccome siamo tra i fondatori dell’UE e cittadini europei è evidente che, se ci sono pressioni dall’Africa o situazioni dove le persone sono costrette a fuggire, siamo richiamati ad un obbligo uguale a quello della nostra Costituzione repubblicana. L’intercultura e il multiculturalismo sono parte della storia dell’umanità. Quindi, in riguardo al tema accoglienza o respingimento, l’agire soltanto sul tema della restrizione delle libertà personali, come nel recente decreto, occorre farci qualche domanda attorno al ruolo dell’Europa. Quest’ultima, costruita sulla civiltà del diritto, dal punto di vista delle libertà personali, non può permettere arretramenti. Ad oggi, nel nostro paese, ci sono nove Cpr in cui sono accolte circa 493 mila persone. Secondo l’ultimo decreto in materia ne dovremo avere uno in ogni regione e, questa procedura, nel suo complesso, pone oggettivamente delle difficoltà di interpretazione e, per la storia dell’associazione che rappresento, è difficile da essere accolta così com’è.”

Foto di Barbara Zandoval su Unsplash

Cosa dovrebbe essere rivisto, secondo lei, in materia di accoglienza? Quali sono i suoi auspici per il futuro?

“Ciò che andava seriamente rivisto, lo diciamo ancora oggi, è la legge Bossi – Fini. Ogni volta in cui si fa una riflessione sui migranti ci si dimentica che, questo paese, ha una legge la quale, in qualche modo, non consente un accesso ordinario in Italia. Ciò evidentemente spiega che, se l’accesso legale è negato, probabilmente le persone proveranno a entrare in tutti i modi perché la disperazione non si ferma di fronte a nulla. Occorre quindi rivedere la Bossi – Fini, stabilire che, coloro che vengono nel nostro paese per lavoro, possano venire con regolare permesso di soggiorno. Politiche come la Bossi – Fini, in qualche modo, rendono il paese impenetrabile e, nella storia, tutte le volte che è successo, la disperazione costringe le persone a provare ad entrare in altri modi. Inoltre, attraverso grandi esperienze già vissute, si è visto che, attraverso i corridoi umanitari, è possibile far accedere in sicurezza le persone e, di conseguenza, deve essere incrementata. Occorre investire nella politica europea e nella cooperazione internazionale. Non è possibile che vi siano stati europei che non sentano la responsabilità di accogliere i migranti. La civiltà del diritto è il principio su cui è fondata l’Europa, senza questo siamo al pari di quei paesi in cui, il diritto, viene considerato poco più di una cortesia che può essere applicata o meno a seconda dei casi. Per ritrovare le radici della nostra storia, uno dei collanti più importanti è la civiltà del diritto. Non si possono trovare soluzioni semplificate a questioni complesse come l’immigrazione. È una questione strutturale e non può essere affrontata come un’emergenza. La solidarietà e la disponibilità all’accoglienza è una caratteristica del nostro popolo che non va messa in dubbio. Dobbiamo interrogarci sulla solidarietà europea e una responsabilità maggiore agli stati europei in riguardo alla redistribuzione dei migranti nei diversi Paesi. Ognuno deve assumersi la responsabilità di accogliere vite umane, le quali devono essere al centro di ogni politica. Mi aspetto che, in occasione delle elezioni europee, si discuta seriamente di questo tema, richiamando ognuno alle proprie responsabilità.”