Abusi e metodi umilianti, niente sconti di pena al guru

Un caso rispecchia perfettamente le metodologie di manipolazione mentale. Il guru non aveva argini

Lo psicologo statunitense Steven Hassan, autore di fondamentali saggi come “Mentalmente liberi”, ha contribuito a definire esattamente il concetto di “brainwashing“. Il controllo mentale, chiamato anche “riforma del pensiero”, è subdolo, sottile e raffinato. Coloro che esercitano il controllo mentale sono considerati dalla vittima alla stregua di amici o di propri pari, ed è proprio per questo che non entrano in azione i meccanismi di autodifesa. Chi è sottoposto al controllo mentale collabora con i suoi controllori senza saperlo. In pratica, la vittima non si rende conto di essere tale perché interiorizza progressivamente un nuovo sistema di credenze e valori che si struttura in una nuova identità. Ne è una dimostrazione la vicenda del Forteto.

Nessun pentimento del guru

Rodolfo Fiesoli, l’ex “guru” della comunità “Il Forteto” di Vicchio nel Mugello (Firenze), oggi 79enne, non ha mostrato nessuna forma di “resipiscenza” per quello che ha fatto dalla fine degli anni Settanta al 2010 ai danni dei ragazzini e adolescenti in condizioni di disagio a lui affidati nella struttura della quale era il “capo spirituale”. Inoltre la gravità degli abusi e maltrattamenti commessi non lo rende meritevole di attenuanti o sconti di pena. Così, riferisce l’Ansa, la Cassazione in un verdetto di 48 pagine spiega perché ha confermato la condanna a 14 anni e 10 mesi inflitta a Fiesoli nell’appello bis dalla Corte di Firenze il 26 ottobre 2018. L’entità della pena non può essere ridotta in considerazione della “lunga durata dei maltrattamenti e della pluralità delle condotte illecite di soggezione psicologica e morale perpetrate dal Fiesoli che, per la sua posizione di ‘capo spirituale’ della comunità, ha dettato le regole comportamentali inducendo gli altri membri adulti a seguirlo nella consumazione di tali delitti”.

Recupero

In sostanza gli altri ospiti “grandi” della comunità (una cooperativa agricola che sembra fatturi 15-18 milioni di euro l’anno e che è stata commissariata dal governo nel 2018) dovevano “uniformarsi alle regole imposte da Fiesoli altrimenti incorrevano nell’allontanamento”. Tuttora circa una quarantina dei ragazzi e delle ragazze finite al Forteto sono inserite nel progetto di recupero “Oltre” per cercare di recuperare equilibrio, serenità e distacco da quella terribile esperienza di vita comunitaria dove veniva inculcato il distacco dalla famiglia di origine, alla quale di fatto erano sottratti in modo subdolo, anche attraverso le menzogne sul conto dei genitori che venivano “denigrati”. Le giornate si svolgevano con “regole rigide”, la libertà di “autodeterminarsi” era fortemente limitata. Su di lui gravano anche accuse per abusi di tipo sessuale. Quando poi gli adolescenti crescevano, i maschi venivano separati dalle ragazze, e questo avveniva anche per le coppie, comprese quelle con bambini. I giovani ospiti erano vittime di “pestaggi” dei quali erano incaricati altri adulti che sono già stati processati come coimputati di Fiesoli. Al Forteto venivano inscenati anche dei “teatrini”, una sorta di pubblica ammissione di colpevolezza davanti a tutti per non essersi attenuti ai “protocolli” fissati da Fiesoli, una forma di umiliazione alla quale gli adolescenti sottostavano a volte anche inventando le loro “colpe”. Fortissima la manipolazione esercitata dal “capo spirituale” su ragazzi già segnati da traumi, disabilità, e vite dal passato breve ma difficile. Per la vicenda del Forteto, che per lungo tempo era “coperta” dalla fama di struttura modello, è stata istituita una commissione parlamentare di inchiesta. Fiesoli, ora nel carcere di Padova, deve scontare poco più di 13 anni, considerando i periodi già trascorsi in misura cautelare.

Manipolazione

La prima codificazione dei sistemi di manipolazione mentale avvenne sessant’anni fa negli ospedali militari degli Stati Uniti. Psicologi e psichiatri analizzarono numerosi soldati americani che erano stati catturati e imprigionati durante la guerra di Corea. Nelle loro menti gli effetti del “brainwashing” emergevano con un’evidenza sconcertante. Una volta liberati, parlavano come un disco, in modo completamente anaffettivo, rinnegavano il loro Paese, condannavano l’intervento militare americano in Corea, ripudiavano la loro educazione e sostenevano principi di carattere comunista. La loro voce sembrava registrata, senza la precisa convinzione di quello che dicevano. Per recuperare quegli ex prigionieri di guerra fu necessario estraniarli dall’ambito in cui aveva avuto luogo
quell’indottrinamento e in molti casi servirono anni per ricondurli pian piano alla loro vera identità. Guru e santoni, da abili usurai dell’anima, hanno ereditato e affinato le tecniche di lavaggio del cervello in uso nelle prigioni militari, aggiungendo un perfido e utilissimo meccanismo psicologico: la sindrome di Stoccolma. Il capo spirituale della setta, dopo la prima fase finalizzata al suo disorientamento, instaura strumentalmente con l’adepto un falso legame di benevolenza. Ed è così che l’aguzzino riesce a farsi vedere dalla vittima come un liberatore, un “dio salvifico” che, pur avendo potere di vita e di morte sull’adepto, ha preferito farlo sopravvivere. In questo modo, la setta si assicura un rapporto affettivo paradossale eppure saldissimo, simile a quello rintracciato dagli psicologi nei figli maltrattati dai genitori. Si tratta della cosiddetta “sindrome di Stoccolma”, in forza della quale il padre e la madre autoritari e violenti inducono nella prole un attaccamento morbosamente patologico, molto più forte dei genitori correttamente affettuosi. Cresciuti e al momento di formare a loro volta una famiglia, coloro che hanno sofferto da piccoli la “sindrome di Stoccolma” tendono a ricalcare lo stesso modello di educazione ricevuto durante l’infanzia.