Dramma in alta quota: il grande alpinista Ueli Steck muore sull’Everest

Una vita passata ad alta quota e a velocità ascensionali impressionanti quella di Ueli Steck, alpinista non a caso soprannominato “Swiss Machine”. E, molto simile a una macchina, era anche il suo infaticabile corpo, fatto di muscoli, cuore e resistenza allo sforzo fuori del comune. Tutte qualità che, nel tempo, avevano contribuito a fare di lui uno dei nomi più grandi della recente storia dell’arrampicata sportiva. Ma, queste stesse doti, non sono bastate a impedire il dramma che, sull’Everest, si è portato via la vita e le future imprese alpinistiche dell’atleta. Il suo corpo privo di vita, infatti, sarebbe stato rinvenuto questa mattina da un gruppo di soccorritori ai piedi della parete ovest del Monte Nuptse, dove lo scalatore stava effettuando una sessione di allenamento in vista della sua prossima, incredibile impresa: la traversata dal Lhotse all’Everest.

La tragedia

A dare l’allarme della sua caduta, un gruppo di arrampicatori presenti al campo 1, i quali lo avrebbero visto cadere. I resti di Steck, 41 anni, sono stati ora trasferiti a Kathmandu, dopo il recupero effettuato da un elicottero, come riportato dal sito web nepalese  “Thehimalayantimes”. Una tragedia che, a eccezione degli uomini del campo, non ha avuto testimoni diretti in quanto, come quasi sempre accadeva, “Swiss Machine” era da solo, intento a effettuare le sue prove di acclimatazione ad alta quota. In vista della sua imminente prova suprema, Steck aveva adottato un nuovo sistema di allenamento, consistente in veloci salite e altrettanto veloci discese all’incirca ai 7 mila metri, allo scopo di adattare il proprio corpo a sopportare meglio le bassissime temperature anche sotto maggiore sforzo fisico. Probabilmente, durante una di queste sessioni di arrampicata, Ueli è scivolato fatalmente, precipitando ai piedi della parete che stava scalando, sul versante ovest della cima più alta della Terra.

Le imprese di Steck

Una carriera straordinaria quella dell’alpinista svizzero, capace di stabilire incredibili record di velocità ascensionale sulle pareti di montagne come il Cervino, l’Eiger e anche le Grands Jorasses. Nella sua bacheca, anche due Piolet d’Or, il massimo riconoscimento alpinistico, ottenuto per due fenomenali imprese come l’apertura di una nuova via sul Tengkangpoche, nel 2009, e sull’Annapurna nel 2013, salita compiuta in appena 28 ore. Al 2009 risale anche la conquista del suo primo ottomila, il Gasherbrum II, salito per la via normale. Nel 2011, invece, tenta la grande impresa di scalare ben 3 dei 13 ottomila rimasti in una sola stagione, successo mancato di pochissimo: dopo aver raggiunto la vetta del Cho Oyu e dello Shisha Pangma, a soli 150 metri dalla vetta deve rinunciare a toccare la cima dell’Everest a causa di condizioni climatiche proibitive. Successivamente, però, riesce a completare le ascese di tutti i 4 mila delle Alpi. L’allenamento sul Nuptse sarebbe servito come “palestra” (nonostante l’elevatissima difficoltà) per l’incredibile traversata in programma Lhotse-Everest (in 46 ore e senza ossigeno): un’impresa che, “Swiss Machine”, non potrà compiere.