La spaccatura che ha caratterizzato il vertice di Bruxelles

Foto ©Palazzo Chigi

Forse non è andata esattamente come voleva. Forse l’Europa, e questo per l’atteggiamento di alcuni stati dell’Unione, non è quel luogo in cui basta parlare la stessa lingua, intesa come visione politica, per trovare un accordo. Certi interessi particolari, e in questi giorni ne sono emersi tanti, continuano a sovrastare il cosiddetto bene comune. E siccome quello dell’immigrazione dovrebbe essere un argomento sul quale è giusto dibattere ma non scontrarsi, il bilancio della missione italiana, guidata dalla premier, Giorgia Meloni, non può che essere fra luci ed ombre. Fingere che sia andato tutto bene sarebbe fare un torto al buonsenso. Detto ciò è pur vero che Ungheria e Polonia non hanno bloccato il Patto per le migrazioni e l’asilo. Hanno bloccato le conclusioni del vertice Ue, che si è tenuto a Bruxelles, perché non veniva accolta la loro richiesta di affermare che il Patto per le migrazioni e l’asilo (ora in negoziazione tra Consiglio Ue e Parlamento) possa essere approvato solo all’unanimità.

Dunque corretto parlare di disaccordo e visioni differenti, azzardato spingersi a rubricare l’appuntamento come un fallimento. Perché per gli altri venticinque Stati, che il Patto l’hanno già approvato a livello di ministri dell’Interno lo scorso 8 giugno, era un’imposizione inaccettabile. E a nulla sono servite oltre otto ore di confronto. Né ha dato l’esito sperato la mediazione della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con i premier di Polonia, Mateusz Morawiecki, e di Ungheria. “Abbiamo posizioni diverse, perché sono diversi gli interessi e le posizioni geografiche”, ma “mai resto delusa da chi difende i propri interessi nazionali”, spiega la premier, parlando con i giornalisti al termine del summit. E qui vengono fatte due distinzioni. “Le loro posizioni, che non sono peregrine, non riguardano le mie priorità che si concentrano sulla dimensione esterna”, è la prima che fa la titolare di Chigi. La seconda: “Il Patto non ne esce ammaccato perché quello non era in discussione al Consiglio, non viene riaperto. Per noi migliora le regole anche se non risolve il problema”. Dunque cautela, ma soprattutto attenzione ai temi veri, quelli sul tavolo, sui quali il confronto deve continuare.

Probabilmente la Meloni sperava in un’opera di persuasione, che non è arrivata. Ed è forse questa la vera delusione del vertice. Nonostante ciò, almeno ufficialmente, la Meloni parla di “ruolo da protagonista” del nostro Paese, dicendosi “molto soddisfatta”. Perché “La dimensione esterna, su cui stiamo lavorando noi dalla Tunisia in poi, coinvolge tutti i Paesi. Su questo c’è un consenso unanime, a ventisette”. Anche perché politicamente – elemento non di secondo ordine – sembra essere l’unica via d’uscita. “Io ho tentato di spiegare dall’inizio che finché noi cerchiamo delle soluzioni su come gestire il problema dei migranti quando arrivano sul territorio europeo non troveremo mai l’unanimità perché la geografia è diversa, perché le necessità sono diverse, perché le situazioni sono diverse, perché la politica è diversa. L’unico modo per affrontare la questione tutti insieme è concentrarsi sulla dimensione esterna. Ed è su questo che noi siamo riusciti a imprimere una svolta totale. Potete chiederlo a chiunque se ne intenda di queste dinamiche qui”, assicura la premier. Una conferma è il paragrafo delle conclusioni – approvate anche da Ungheria e Polonia – riferito alla Tunisia in cui i leader Ue “accolgono con favore il lavoro di partenariato” e “sottolineano l’importanza di sviluppare e rafforzare partenriati simili”. Questo però non vuol dire arrendersi alla spaccatura che ha caratterizzato il vertice.

A chiedere alla Meloni di tentare una mediazione erano stati gli altri leader europei, prima dell’inizio dei lavori. Nella notte ci avevano già provato il presidente francese, Emmanuel Macron (costretto poi ad anticipare il rientro a causa delle violenze in patria), e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Alla fine è andata come sappiamo. Forse, in questo modo, hanno perso un po’ tutti. Sicuramente non ha vinto nessuno, almeno per il momento. Sul fronte economico, invece, l’Italia aveva chiesto al Consiglio europeo piena flessibilità nell’utilizzo dei fondi esistenti. Un elemento “molto presente” nelle proposte della Commissione, rivendica la premier, Giorgia Meloni, al termine di due giorni turbolenti a Bruxelles. “Ciò vuol dire, per l’Italia, tra Fondi di Coesione e Pnrr, circa 300 miliardi di euro che possono essere meglio spesi e concentrati sulle priorità”, spiega. La prima ministra si sgancia dalle polemiche di molti, che parlano di debacle: “Le questioni centrali che l’Italia ha posto in questi mesi sono oggi una realtà”, assicura. E questo, forse, è un passaggio caratterizzante del vertice, cannibalizzato dal nodo dei migranti.