Vescovo Crociata a Interris.it: “Le fasce più povere si infragiliscono sempre di più”

Intervista a Interris.it del presidente della Commissione Cei per l'Educazione cattolica, monsignor Mariano Crociata: "Siamo di fronte a un'economia malata"

Giovani

“Che siamo di fronte ad una economia malata è di una evidenza crescente dopo la prima fase della pandemia”, afferma a Interris.it il vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno. Monsignor Mariano Crociata, ex segretario generale della Cei, è il presidente della Commissione episcopale per l’Educazione cattolica, la scuola e l’università.

Crociata, sos povertà

“Ora l’emergenza è aggravata dall’esplosione della seconda ondata- afferma il vescovo Crociata-. Le fasce più povere si infragiliscono sempre di più. E anche chi aveva una qualche sicurezza ha motivo di timore e grave preoccupazione. Sulle risposte e le risorse da trovare c’è un dibattito aperto da un bel po’ di tempo. L’iniziativa europea sembra aver messo in campo condizioni per affrontare questa fase molto difficile. Se i responsabili delle istituzioni e del mondo economico sapranno adottare le misure adeguate”. Tutto questo, aggiunge a Interris.it l’ex segretario generale della Cei, non basta. “Se non c’è una mobilitazione civile e morale da parte di tutti. Similmente a come è stato e rimane necessaria la responsabilità di tutti. Nell’osservare le norme minime di sicurezza per fronteggiare e vincere la pandemia”.In una prospettiva di fede e sociale, cosa rappresenta la famiglia in questo momento così difficile?

“Il bisogno di famiglia ha una evidenza umana e sociale ancora più forte di questi tempi. Per un verso si coglie la forza e il coraggio maggiori con cui affrontano la vita quelli hanno alle spalle una solida esperienza di famiglia. Per altro verso le solitudini crescenti e il culto dell’individualismo da parte di tanti vede pagare un prezzo altissimo a tante persone prive di sostegno e di punti di riferimento. Per le quali le strutture di welfare, quando ci sono, possono solo lontanamente sopperire a bisogni che solo in famiglia trovano casa”.Può farci un esempio?

“L’esperienza di famiglia è oggi molto varia. E ad ognuna va prestato rispetto e ascolto. Conosciamo del resto motivazioni religiose e ideali diverse alla base della sua scelta e della sua promozione. Appare sempre più chiaro che formare una famiglia cristiana è una scelta consapevole. Una scelta che chiede di avere alle spalle molto di più di una tradizione culturale di impronta cattolica. Ci vuole una formazione umana e religiosa adeguata. Frutto di un lungo cammino personale nel quale proprio la famiglia, quando c’è, gioca un ruolo fondamentale, insieme alla comunità ecclesiale. Sono convinto che le risorse offerte dalla fede, a cominciare dalla parola di Dio fino a culminare nel sacramento, sono singolarmente preziose ed efficaci. Anzi semplicemente insostituibili”.Con quali risultati?

“Quando si riesce a far congiungere questi elementi necessari nelle persone e nelle coppie, il risultato è di una efficacia umana, sociale ed ecclesiale straordinaria. Ne abbiamo testimonianza in diversi esempi di famiglie che arrivano a fare scelte eccezionali di dedizione e di servizio. Per non parlare di quelle che svolgono nella ordinarietà il loro formidabile compito di relazione, di accudimento e di educazione”.A cosa si riferisce?

“Quando ci sono tali famiglie, le singole persone si sentono accolte. Imparano a stare insieme. E ad affrontare la vita con coraggio, apertura, lungimiranza. La Chiesa ha il compito di sostenere e accompagnare queste esperienze. Di far sentire il suo essere la grande famiglia di Dio. Nella quale le singole famiglie possono trovare accoglienza, posto, ristoro”.Come si può reagire individualmente e collettivamente alla pandemia?

“Ci vuole spirito di iniziativa. E poi volontà di ripresa. Disponibilità alla cooperazione e alla solidarietà. Voglia di futuro. Beni di cui non si dispone abbastanza, o che a volte sembrano proprio scarseggiare. L’atteggiamento più deleterio è l’attesa inerte di qualcuno che risolva i problemi”.Perché?

“A qualcuno sembra di avere il diritto di non pensare a niente e di godersi la vita (quando si riesce). Senza nessuna incombenza e responsabilità. C’è bisogno di risvegliare questa consapevolezza in tutti. La comunità ecclesiale dovrebbe avere al suo arco ben altre frecce. Se pensiamo a come il Vangelo ci sproni a non stare con le mani in mano. E ad adoperarci incessantemente gli uni per gli altri”.Cosa teme?

L’idea di un cristianesimo soporifero e irrilevante, dedito a devozioni innocue e avulse dalla realtà, è del tutto incompatibile con il senso autentico del messaggio di Gesù e della comunione ecclesiale. Risvegliare questa consapevolezza in tutti, pastori e fedeli, è senza dubbio una priorità.

Giovani italiani indossano la mascherina – Foto © Dire

E i giovani?

“Il nostro tempo ci ha resi sempre più edotti della complessità della realtà umana e sociale. Le generalizzazioni valgono sempre meno per comprendere le persone. L’individualismo giustamente deprecato contiene un risvolto che non lo rende migliore. E meno dannoso di quel che è in realtà. Ma che tuttavia deve essere adeguatamente considerato. E tale risvolto è la scoperta della dignità e della libertà della persona e della sua singolarità”.Cioè?

“Non ci nascondiamo i meccanismi di massificazione. Soprattutto nel mondo del consumo. Così abile nel far credere di essere unici e originali. Facendo tutti le stesse cose e soprattutto adottando gli stessi prodotti e le stesse mode. I giovani sono interamente dentro questo marasma. Ma con le capacità e le potenzialità che appartengono alla loro generazione e a questo tempo”.Segni di speranza?

“Non mancano tanti giovani che riescono a sottrarsi alle derive di ogni sorta che li inducono alla cancellazione della loro originalità se non della loro identità. Sarà un luogo comune, ma rimane vero che il problema dei giovani sono gli adulti. Che spesso rimangono eterni adolescenti. Incapaci di prendersi le loro responsabilità. E quindi di offrire un modello plausibile di umanità e di dare prospettive di futuro alla vita personale e sociale. Tutti appiattiti su un presente che opprime e soffoca”.Cosa bisogna fare?

“Bisogna dare fiducia e incoraggiamento alle nuove generazioni. In tutti i modi e in tutte le circostanze. Senza cadere nell’indulgenza di chi cerca maldestramente di farsi perdonare qualcosa. I giovani hanno bisogno di vedere che è possibile costruire il loro futuro. Che c’è qualcosa a cui possono dedicarsi con passione sapendo che avrà un seguito. È nel poter guardare al futuro con fiducia e speranza che i giovani trovano senso alla loro vita. I credenti hanno molto da fare in questo campo, cominciando dalla rieducazione degli adulti”.Per presentare ai ragazzi la Buona Novella quale ritiene essere la pagina più significativa del Vangelo? “Non so se ci sia una pagina evangelica che più e meglio di altre riesca a toccare il cuore dei ragazzi e dei giovani di oggi. Direi che tutto il Vangelo, ascoltato fuori da certi schemi catechistici che a volte hanno creato degli schermi più che degli accessi, ha un potere ineguagliabile di sorpresa. E di passione per chiunque vi si accosti con attenzione e disponibilità”.In che modo?

“Soprattutto il Vangelo intercetta il bisogno di andare oltre gli schemi mentali dentro cui spesso cresciamo e rimaniamo immersi. Apre a un orizzonte nel quale emergono le cose che veramente contano. E questo ha un potere di fascinazione straordinaria per tutti. Ancora di più per dei ragazzi. La loro mente libera e palpitante, quando lo è, è capace di penetrare prontamente il senso che promana dalle pagine evangeliche”.Cosa consiglia di leggere?

“Come sempre, il linguaggio più caratteristico di Gesù si trova nelle parabole. Da lì è possibile costruire un percorso che, come insegna Gesù, tocca la vita. E partendo dalla vita è in grado di raggiungere e coinvolgere tutta la persona. Da questo punto di vista, parabole come quella del seminatore presenta un fecondità pressoché illimitata. Capace di illuminare un approccio adeguato alle altre parabole e a tutto il Vangelo”.