VIOLENTATA LA SPOSA DEL DESERTO

Il nome Palmira fino a poco tempo fa evocava scenari di straripante bellezza e profonda cultura; dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, la città fiorì nell’antichità come punto di sosta per le carovane di viaggiatori e mercanti che attraversavano il deserto siriano ed ebbe un notevole sviluppo fra il I ed il III secolo dopo Cristo. Per questo motivo fu soprannominata la ‘Sposa del deserto’. Il nome greco della città, ‘Palmyra’ appunto, è la traduzione fedele dall’originale aramaico, Tadmor, che significa ‘palma’.

Il sito archeologico è però da mesi sotto attacco dell’Isis e la barbara uccisione del suo ‘guardiano’, lo studioso di antichità Khaled Asaad, è l’ennesimo duro colpo per l’antica città semita situata nel centro della Siria. Il sito è caduto nelle mani dello stato islamico lo scorso 20 maggio e da allora è stato usato come palcoscenico per efferatezze e violenze. Un video diffuso all’inizio di luglio dall’ong Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), vengono mostrate immagini scioccanti: venticinque soldati siriani inginocchiati, alle loro spalle altrettanti giovani, alcuni ragazzini di forse 13 o 14 anni, che li uccidono con un colpo alla nuca mentre sulle gradinate dell’anfiteatro si vedono centinaia di uomini in abiti civili che assistono.

Anche quella di Khaled al Asaad, 82 anni, uno dei massimi esperti siriani di antichità ed ex direttore del sito archeologico locale è stata un’esecuzione pubblica in una piazza di Palmira, alla quale hanno assistito decine di persone.

La città è citata nella Bibbia e negli annali dei re assiri, ma in particolare la sua storia è legata alla regina Zenobia che si oppose, secondo la tradizione, ai romani e ai persiani. Poi venne incorporata nell’impero romano e Diocleziano, tra il 293 e 303, la fortificò, per cercare di difenderla dalle mire dei Sasanidi facendo costruire, entro le mura difensive, ad occidente della città, un grande accampamento con un pretorio ed un santuario per le insegne per la Legio I Illirica.

A partire dal IV secolo le notizie su Palmira si diradano. Durante la dominazione bizantina furono costruite alcune chiese, anche se la città aveva perso importanza. L’imperatore Giustiniano, nel VI secolo, per l’importanza strategica della zona, fece rinforzare le mura e vi installò una guarnigione. Poi sotto il dominio degli arabi la città andò in rovina.

Il sito archeologico comprende la via colonnata, il santuario di Bel, quello di Nabu, le Terme di Diocleziano, il teatro e l’Agora. Vere e proprie perle architettoniche. Fondato nel 1961 all’entrata della città moderna, il museo di Palmira raccoglie numerosi reperti ritrovati nel sito archeologico che testimoniano l’alto livello di raffinatezza raggiunto dall’arte palmirea.

Per timore di distruzioni, centinaia di statue e reperti del sito siriano 240 km a nord-est di Damasco sono stati trasferiti in altre località già prima dell’assalto finale dell’Isis. Lo Stato Islamico ha comunque raso al suolo due antichi mausolei vicino al sito archeologico romano, perché si trattava di un “simbolo di politeismo. Uno è quello dello sheikh Mohammad Ben Ali. L’altro sacrario islamico antico distrutto è quello di Abu Behaeddin, una figura storica di Palmira. I jihadisti dell’Isis “considerano questi mausolei islamici contrari alla fede”, cioè una forma di idolatria, e perciò “hanno proibito qualsiasi visita ad essi”, ha spiegato Maamoun Abulkarim, direttore delle antichità del governo siriano.