La sindrome affettiva stagionale: oltre la metereopatia

La “Sindrome affettiva stagionale” (in inglese “SAD”, acronimo di “seasonal affective disorder”) si concretizza in un disturbo dell’umore al sopraggiungere dell’inverno o dell’estate, con atteggiamenti depressivi e conseguenze molto serie, a livello psichico e fisico, sino a inibire la normale quotidianità. È diffusa in tutto il mondo ed è conosciuta anche come “depressione stagionale”. Il suo inserimento nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (il DSM-V) certifica l’incidenza, la natura e la diffusione del grave problema. La collocazione, avvenuta già nel DSM-IV del 1994, ha comportato un upgrade: da semplice fastidio legato alle mutate condizioni di temperatura a un pattern stagionale.

Il verificarsi del disturbo, per essere diagnosticato come tale, deve prevedere una casistica numericamente maggiore in alcuni periodi stagionali rispetto agli stessi eventi che possono verificarsi nel corso di un intero anno o intervalli più lunghi.

La forma più diffusa è quella invernale, meno frequente è quella estiva. Lo psichiatra che la teorizzò per primo nel 1984, Norman E. Rosenthal e la ricercatrice Sherri Melrose distinsero i sintomi: per quella estiva, una tendenza a perdere peso, all’aggressività e all’insonnia; per quella invernale, l’aumentare di peso, la tristezza e l’ipersonnia.

Una delle principali cure è la luminoterapia che consiste nella maggior esposizione del soggetto alla luce, riequilibrando sia l’aspetto psicofisico sia quello umorale.

Lo conferma anche il volume “Luminoterapia. Il bagno di luce che dona energia e buonumore. Un metodo naturale per curare il disordine affettivo stagionale”, pubblicato da “Il Punto d’Incontro” nel 2014 e scritto dalla psicologa Marie-Pier Lavoie. Nella descrizione del libro si puntualizza “Quasi il 20% della popolazione soffre di Disturbo affettivo stagionale, depressione, ansia, insonnia, spossatezza, irritabilità, malinconia sono alcuni dei suoi sintomi e il fattore scatenante è stato ormai identificato chiaramente: il deficit di luce”.

Proprio per la privazione della luce, i mesi più difficili nel nostro emisfero, per chi soffre della depressione stagionale, sono quelli del tardo autunno e dell’inverno.

I ritmi biologici, i ritmi circadiani, hanno degli orologi interni a loro volta sensibili agli stimoli provenienti dall’esterno, quali la luce, il buio, il caldo e il freddo.

La diminuzione di luce, all’approssimarsi dell’autunno e poi dell’inverno, sviluppa meno serotonina e melatonina, aumentando, quindi, il senso di ansia e depressione e alterando il rapporto sonno-veglia; a compromettere l’umore concorre anche il minor apporto della vitamina D.

Per alcuni soggetti, in particolare le donne, il cambiamento di clima e di temperatura può avere uno stretto collegamento con la fibromialgia (alterazione nella percezione del dolore). Le ripercussioni non colpiscono allo stesso modo i circa 2 milioni di persone che ne soffrono in Italia: l’arrivo di una stagione per molti può risultare indifferente, per altri di giovamento, per alcuni un peggioramento.

La “tristezza estiva” (o l’“august blues”), atteggiamento malinconico nel pensare all’imminente ritorno alle attività scolastiche e lavorative, se condotta a forme patologiche, può accrescere il disagio già provato con la depressione stagionale.

I fastidi (tristezza, ansia, difficoltà di concentrazione, sbalzi umorali) avvertiti dai soggetti meteoropatici sono blandi e circoscritti; la SAD, al contrario, è una vera e propria malattia mentale da non sottovalutare.

Il celebre scrittore Carlo Bo subiva il ciclo dei mesi e affermava “Mi sento in disaccordo con tre delle quattro stagioni che formano l’anno: vorrei che fosse sempre estate e che nessuna anomalia atmosferica venisse a turbarla”.

Nel “Rapporto sul benessere equo e sostenibile”, pubblicato lo scorso 10 marzo dall’Istat, al link https://www.istat.it/it/files//2021/03/BES_2020-nota-stampa.pdf, si leggono dei dati importanti sull’andamento della salute mentale degli italiani. In particolare, si nota “A dieci anni dall’avvio del progetto, l’Istat presenta l’ottava edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes). Nel 2020 in Italia l’indice di salute mentale assume il valore di 68,8. Rispetto al 2019, emergono tendenze differenti in sottogruppi di popolazione. Peggiora la situazione delle persone di 75 anni e più di entrambi i generi e delle persone sole nella fascia di età 55-64, soprattutto al Nord. L’indice di salute mentale peggiora anche tra le giovani donne di 20-24 anni e in alcune regioni come Lombardia, Piemonte e Campania che, insieme al Molise, presentano i valori più bassi”.

Un dato recente, sulla presenza del disturbo, lo ha riportato, pochi mesi fa, Sky TG24, al link https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2020/11/18/winter-blues-consigli, in cui si legge “Secondo un’indagine pubblicata sul New York Times e condotta da Norman E. Rosenthal, psichiatra che identificò questa patologia negli anni ‘80, ne soffre il 15% della popolazione”.

La Fondazione Onda è un Osservatorio sulla salute, in particolare di quella femminile; in un documento molto dettagliato, visibile al link https://ondaosservatorio.it/ondauploads/2020/11/Documento-istituzione_DEPRESSIONE_Manifesto-executive-summary.pdf,  fornisce dati che dimostrano un’incidenza della SAD e della depressione in generale, soprattutto nei confronti delle donne. Nel testo, infatti, è scritto “I dati forniti dalla letteratura internazionale concordano sul fatto che le donne risultano affette da depressione da due a tre volte più degli uomini, dall’adolescenza all’età adulta. Le donne, in particolare, tendono a sviluppare la malattia più precocemente, manifestando in genere un corredo sintomatologico più grave rispetto agli uomini. Oltre ad avere un’aumentata possibilità di ammalarsi nel corso della vita e a riferire, rispetto agli uomini, un maggior numero di sintomi, le donne presentano una maggiore durata degli episodi. Non sono invece state evidenziate differenze significative in termini di tendenza a più frequenti recidive. Il rischio di depressione coinvolge l’intero ciclo riproduttivo della donna, a partire dall’adolescenza. In particolare, la probabilità della donna di ammalarsi è maggiore in alcune stagioni della vita, caratterizzate da cambiamenti e riadattamenti non solo biologici, ma anche psicologici che la rendono particolarmente vulnerabile, quali adolescenza, gravidanza, puerperio e climaterio (periodo che precede la menopausa). Le donne hanno una probabilità sei volte maggiore degli uomini di soffrire del cosiddetto disturbo stagionale affettivo, una condizione in cui gli episodi depressivi ricorrono con una specifica distribuzione stagionale. La depressione è comune anche nella senescenza, stagione della vita in cui non si riscontrano però sostanziali differenze di prevalenza tra popolazione femminile e maschile”.

È sottovalutato il peso sociale di questa sindrome, spesso relegata a capricci legati al tempo, a fastidi connessi al caldo opprimente o al freddo pungente. Si tratta, invece, di una patologia più grave, da aggiungere, in questi ultimi mesi, alla sindemia generata dal Coronavirus.

La depressione stagionale, ora alimentata dalla pandemia, colpisce soprattutto i giovani, come un effetto secondario di quel virus bollato ingiustamente, cinicamente e frettolosamente, come un “affare e un male da vecchi”.