L’emergenza svela ciò che non funziona nella sanità italiana

Impoverimento globale del servizio sanitario nazionale,, mancanza di filiere decisionali corte e organizzate, incapacità di gestire la pandemia sul territorio, insufficiente raccordo tra centro e periferia, secondo gli operatori del settore

Le vie d’uscita dall’emergenza sanitaria, secondo Confindustria Dispositivi Medici, prevedono il coordinamento tra centro e regioni e l’avvio di confronti per analizzare cosa non ha funzionato in pandemia nella sanità e pianificare le azioni correttive con la partecipazione degli stakeholder, cioè delle varie componenti della galassia della salute pubblica.

I nodi da sciogliere

Impoverimento globale del servizio sanitario nazionale, mancanza di filiere decisionali corte e organizzate, incapacità di gestire l’emergenza sul territorio, insufficiente raccordo  tra centro e periferia, assenza di produzioni nazionali strategiche, bandi centralizzati che hanno bloccato altre possibili soluzioni di approvvigionamento di apparecchiature e dispositivi: queste, riferisce Dire, le macro-criticità emerse nel più importante dialogo inter-professionale realizzato in periodo di pandemia. I temi sono emersi trasversalmente all’interno del digital meeting “L’emergenza Covid-19 sotto la lente degli operatori sanitari: confronto tra anestesisti, rianimatori, ingegneri clinici, farmacisti ospedalieri e provveditori”. Professioni che hanno fatto il possibile per rispondere ad un insieme di bisogni di salute mai visto in precedenza. Bisogni che si sono abbattuti sul servizio sanitario nazionale ponendo richieste che hanno costretto tutti a fare i conti con problematiche impreviste e incombenti.

Carenza di farmaci

La maggior criticità vissuta dagli anestesisti, evidenzia Dire, è stata sicuramente l’urgenza di provvedere all’allestimento veloce di un numero sempre maggiore di aree di terapia intensiva, assicurando le risorse umane adeguate per gestirle al meglio. L’incremento enorme dei posti letto e la presenza di personale competente (sia anestesisti sia infermieri)  ha dovuto fare i conti con le difficoltà a reperire dispositivi e farmaci, soprattutto sedativi e miorilassanti. Nonostante queste problematiche si è registrato, però, un indice di sopravvivenza nelle terapie intensive del 65% significa che è stato fatto l’impossibile, raggranellando ovunque ogni farmaco e ogni dispositivo disponibile. Inoltre il decongestionamento degli ospedali è un risultato che deve essere perseguito con una nuova politica sanitaria. Nel picco pandemico ci sono state anche difficoltà di approvvigionamento dei farmaci, dispositivi e mascherine.

Figure specializzate

I farmacisti ospedalieri hanno risposto con dedizione professionale, creando una rete informativa nazionale ed offrendo documenti tecnici per le attività di farmacia clinica e galenica. Ma al termine dell’emergenza occorre ripensare agli investimenti in sanità ed al riconoscimento del ruolo delle professioni, anche di quelle meno in vista, tra cui proprio quella del farmacista ospedaliero. E bisognerà chiedersi se i tanti posti letto di terapia intensiva creati in queste ultime settimane dovranno essere stabilizzati ed in che misura e a quali condizioni, ben sapendo che l’obiettivo non è solo stabilizzare i posti letto, ma renderli tecnologicamente operativi e sicuri, e dotare l’intero sistema di figure professionali adeguate, specializzate e preparate a gestirli anche nel futuro, in fase di non-emergenza.