Russia-Gate, Sessions nella bufera, Trump lo difende: “E’ caccia alle streghe”

Jeff Sessions scriverà una lettera alla commissione Giustizia del Senato americano per chiarire la sua testimonianza nelle audizioni di conferma, quando negò di aver avuto contatti con la Russia durante la campagna elettorale di Donald Trump. Nello scritto l’attorney general chiarirà che non aveva intenzione di mentire, poiché credeva che la domanda si riferisse solo al ruolo svolto nella campagna e non alla sua funzione di senatore, nella cui veste incontrò l’ambasciatore di Mosca Serghiei Kisliak. Ad assicurare la buona fede del suo fedelissimo è statolo stesso presidente Usa parlando di “caccia alle streghe“. “Jeff è un uomo onesto – ha precisato in una nota – su questa vicenda i Democratici stanno esagerando”.

Bufera

Come il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, costretto alle dimissioni, anche Sessions è finito nella bufera per aver parlato con l’ambasciatore russo in Usa, almeno un paio di volte nel 2016, come ha rivelato il Washington Post. E se Flynn è stato cacciato per aver nascosto al vice Mike Pence di aver discusso con il diplomatico russo di sanzioni prima dell’insediamento di Trump, Sessions è nel mirino per aver negato sotto giuramento al Senato, durante le audizioni di conferma, qualsiasi contatto con i russi durante la campagna elettorale del tycoon, di cui era diventato consigliere politico dopo essere stato uno dei suoi primi sostenitori. Un comportamento ben più grave, a rischio impeachment. Con effetti sul nuovo corso che Trump vuole inaugurare con Putin. “Vandalismo mediatico“, un caso che “sta servendo ad alimentare una certa resistenza all’idea di un qualche dialogo tra gli Stati Uniti e la Federazione russa”, ha denunciato il Cremlino.

L’incontro

Ora Sessions non ha negato gli incontri, il primo in luglio dopo un seminario alla convention repubblicana e il secondo in settembre nel suo ufficio al Senato. Ma ha sostenuto di aver visto Kisliak, al pari di molti altri ambasciatori, in qualità di senatore e membro della commissione per l’esercito, e non come consigliere di Trump. “Non ricordo discussioni politiche specifiche, abbiamo parlato di Ucraina e terrorismo“, ha spiegato in una conferenza stampa, sostenendo di essere stato “onesto” e “corretto” quando ha testimoniato davanti al Senato, pur ammettendo che avrebbe fatto meglio a rivelare quegli incontri.

Dem all’attacco

I leader dei Democratici sono andati all’assalto subito, chiedendo che si dimetta “per il bene del Paese”. E che l’inchiesta sul Russia-gate sia affidata ad un procuratore speciale. “E’ in gioco l’integrità di una branca dell’esecutivo”, ha sottolineato Charles Schumer, leader della minoranza dem al Senato. Nancy Pelosi, leader democratica alla Camera, si è spinta oltre, chiedendo anche che l’attorney general sia indagato. Una richiesta fatta propria dai suoi compagni di partito della commissione giustizia, che hanno girato l’istanza all’Fbi. Anche un crescente numero di parlamentari repubblicani ha chiesto che Sessions faccia chiarezza e si astenga dall’indagine dell’Fbi, cui sovrintende il dipartimento di Giustizia da lui guidato.

La difesa

Dopo qualche ora di silenzio e una prima difesa a spada tratta affidata ai portavoce della Casa Bianca, Trump ha affermato che ha “piena fiducia” in Sessions e che non si dovrebbe astenere nel Russia-gate, convinto che sia stato “probabilmente sincero nella sua testimonianza”. Il presidente ha però precisato che non era a conoscenza dei contatti tra l’attorney general e Kisliak. Anche lo speaker della Camera, il repubblicano Paul Ryan, è andato in soccorso di Sessions, precisando che dovrebbe astenersi dall’indagine sul Russia-gate solo se oggetto dell’inchiesta. Ma Sessions ha deciso diversamente, sperando forse di lenire l’ira dei democratici. In questo modo la Casa Bianca perde la possibilità di controllare un’inchiesta che minaccia la sua stessa sopravvivenza.

L’inchiesta

Molto dipenderà comunque anche dal capo dell’Fbi, quel James Comey che Trump ha voluto confermare dopo i controversi colpi di scena nelle indagini su Hillary Clinton. Intanto il Nyt rivela che negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama alcuni suoi dirigenti si affrettarono a diffondere informazioni attraverso il governo e il Congresso sui ingerenze russe nelle elezioni Usa. L’obiettivo era da un lato preservare una pista chiara di intelligence per gli investigatori governativi, nel timore di un insabbiamento o di una distruzione degli indizi raccolti col cambio della guardia alla Casa Bianca, e dall’altra evitare che queste intromissioni si ripetano in futuro nelle elezioni americane ed europee. L’intelligence americana ha intercettato comunicazioni di dirigenti russi, alcuni dei quali al Cremlino, che discutono di contatti con i collaboratori di Trump. Ma pure gli alleati Usa, compresi britannici e olandesi, hanno fornito informazioni su incontri in città europee tra dirigenti russi e l’entourage di Trump.