SALMAN, IL RE ROTTAMATORE

La rottamazione prende piede in Arabia Saudita. Dopo secoli di passaggi di potere da padre in figlio – Re Saud, il fondatore, ne ha avuti un centinaio – il nuovo sovrano Salam salito al trono nel gennaio scorso sta cambiando le regole del gioco. Nel Regno, la Terra delle due sacre moschee, è arrivato il momento dei nipoti. Così l’asse ereditario del potere si verticalizza e si affida alla schiera infinita di giovani rampolli della dinastia saudita. Salman ha infatti nominato suo erede il ministro dell’Interno Mohammed bin Nayef, nipote in linea diretta, rendendo così suo figlio, il ministro della Difesa Mohammed bin Salman, secondo in linea di successione in un importante rimpasto al vertice del Paese primo esportatore di petrolio al mondo. Una scelta che ha portato alla rimozione del principe ereditario Moqren bin Abdul Aziz bin Saud scelto dal defunto re Abdullah con un decreto appena lo scorso anno pochi mesi prima di morire. Una scelta quella di Re Salam che affida alle nuove generazioni il futuro del Regno. Nominando infatti Mohammed bin Nayef, 55 anni, erede della corona e Mohammed bin Salman, trentenne, suo vice, il monarca saudita ha sistemato la sua successione per i prossimi decenni rafforzando la sua dinastia e cementando i rapporti con gli Usa. Uno schiaffo a chi pensa che lo spoil system sia solo una caratteristica dell’Italia. Bin Nayef ha infatti strette relazioni personali con gli Stati Uniti. Il re, con un altro cambiamento molto significativo, ha anche rimpiazzato il ministro degli Esteri, principe Saud al Faisal, un veterano al vertice della diplomazia saudita dal 1975, con l’ambasciatore del regno a Washington Adel al Jubeir, primo non-reale a rivestire questa carica.

C’è da dire che questi cambiamenti erano stati di fatto annunciati pochi giorni dopo l’incoronazione di Re Salman nel gennaio di quest’anno. Con questo rimpasto di governo il nuovo re saudita vuole dare maggiore potere al clan Sudairi all’interno della famiglia reale e allontanare dal potere Moqren bin Abdul Aziz, che manterrà solo poteri formali.

Il nuovo erede bin Nayef , da ministro dell’Interno aveva già preso in consegna il dossier siriano dallo scorso anno, esautorando di fatto Bandar bin Sultan, anch’egli nipote di ibn Saud,che aveva ricoperto la carica di ambasciatore a Washington per oltre 20 anni, dal 1983 al 2005, quando Re Abdullah lo richiamò per affidargli la gestione del neonato Saudi National Security Council. Fra il 2012 e il 2014 è stato anche a capo dell’intelligence saudita. Tuttavia la parabola politica di Bandar termina con il fallimento nella gestione del dossier siriano, che gli era stato affidato fin dall’inizio del conflitto. A beneficiarne è stato bin Nayef, che ha ereditato l’incarico dal febbraio 2014, data che segna il passaggio di consegne definitivo fra i due e la sua scalata verso il trono. A favore del nuovo erede bin Nayef c’è anche la lotta al terrorismo qaedista visto che dal 1999, come assistente del ministro dell’Interno, aveva messo a punto un piano contro il terrorismo e i gruppi ribelli che poi confluiranno in Al Qaeda della Penisola araba. Bin Nayef negli anni successivi all’11 settembre 2001, quando Al Qaeda intensificò gli attacchi anche in Arabia saudita si distinse per riuscire a contenere la minaccia con l’aiuto dell’intelligence degli Stati Uniti. Suo tra l’altro un programa di rieducazione per i fedeli di Bin Laden arrestati.

Dietro questo giro di poltrone ci sono anche le varie crisi regionali acuitesi con le Primavere arabe e l’ascesa dei Fratelli musulmani invisi alla Dinastia saudita ma appoggiati dal Qatar. Riad ha arrestato centinaia di Ikhwan, Fratelli musulmani, temendo la contaminazine delle primavere del Nord Africa. I Saud hanno quindi giocato duro. Prima il ritiro del loro ambasciatore dal Qatar, poi l’annuncio della chiusura degli uffici di Al Jazeera a Riad. Il Regno saudita, alleato con gli Emirati e con il Bahrein, ha costretto al dialogo Doha e a firmare un accordo con il quale il Qatar si è impegnato, almeno formalmente, a cambiare posizione. “Basta etichettare l’intervento dei militari egiziani come golpe. Basta sostenere la Fratellanza”i toni dell’accordo. Un atto necessario vista la scelta dell’Arabia saudita di intervenire in Yemen contro i ribelli Houthi di fede sciita appoggiati dall’Iran. Questo interventismo verso i Fratelli musulmani e l’ingerenza sciita in Medio Oriente non sembra però esso efficacemente indirizzato contro quei jihadisti salafiti che hanno proclamato il Califatto islamico e poggiano il loro potere sulla ferocia e sui fondamenti del Wahabismo, il quale è pietra angolare della dinastia Saud e del Regno saudita.

I cambiamenti nella cabina di regia saudita arrivano dunque in un momento di profonda crisi della regione. Nel decreto regio si tocca anche il sensibilissimo settore del petrolio. L’Ad di Aramco, Khalid al-Falih, diventa ministro della Sanità e presidente di Aramco, una poltrona detenuta finora dal potente ministro del petrolio Ali al-Naimi, che resta al suo posto. Naimi, 79 anni, ministro del petrolio dal 1995, è stato il fautore lo scorso novembre della decisione di non tagliare la produzione di greggio per sostenere i prezzi del greggio, dimezzati da giugno 2014.