Sanremo, vincono i Maneskin: il trionfo rock nel Festival senza pubblico

Il gruppo alternative rock sbanca l'Ariston con la sua "Zitti e buoni": "Dedicata al prof che ce lo diceva sempre". Secondi Fedez-Michielin, terzo Ermal Meta

Maneskin Sanremo
Foto © Twitter

Non era scontato che vincessero loro. Anzi, per quattro serate il trend sembrava aver preso la strada della ballata d’autore, con Ermal Meta stabilmente in testa. Il voto del pubblico stavolta sovverte come lo aveva fatto la sala stampa ai tempi di Mahmood e di Soldi. I Maneskin vincono (davanti al duo Michielin-Fedez e a Meta) con Zitti e buoni (“Dedicato al prof che ce lo diceva”) un Festival di Sanremo che ha avuto un merito su tutti: quello di provare a far dimenticare, almeno per qualche sera, l’oscurità dei nostri giorni, regalando forse più spettacolo che musica nonostante i 26 artisti in gara. Non è stato forse il trionfo dello scorso anno ma la coppia Amadeus-Fiorello funziona da sola. Quasi meglio l’improvvisazione che quanto è preparato, tanta è l’intesa. La carta vincente, come nel 2020.

Oltre il Covid

Il pubblico non c’è e si sente. Ne risentono le interpretazioni, le gag comiche di Fiorello (a cui manca come il pane il riscontro immediato in sala), qualche volta anche gli audio. Ma lo spettacolo c’è, il lavoro è impressionante per scaletta affollata e durata dello show (proclamazione oltre le due di notte, traguardo raggiunto praticamente ogni sera), ma anche per riuscire ad allestire il tutto per un pubblico esclusivamente televisivo. Di normale non c’è nulla ma l’accoppiata Ama-Fiore fa di tutto per non farlo vedere. E ci riesce, superando abilmente anche l’inconveniente di Irama, in quarantena per due collaboratori positivi ma comunque in gara grazie al video della prova generale.

Vittoria dei Maneskin

I Maneskin portano a compimento la rivoluzione. Niente musica leggera. Vincono laddove non avevano mai vinto i precedenti “rivoluzionari”, i rapper che avevano riscosso grandi consensi ma mai convinto il pubblico italiano a consegnare loro la palma col leone rampante. Il loro rock invece convince tutti, anche quando ri-arrangiano con Manuel Agnelli un pezzo come Amandoti dei CCCP in versione alternative, che rivaleggia con la versione della Nannini. Sono bravi e il pubblico, modernizzato da venti di cambiamento anche fin troppo rapidi, “perdona” loro pure il look non proprio da Sanremo.

Il Festival di Zlatan? No, degli italiani

Del resto, se c’è stato un Festival controtendenza (pure troppo forse) è stato proprio questo del 2021. Ruolo di primo piano allo show ma anche tanta musica, con gli artisti più sfortunati a esibirsi anche ben dopo la mezzanotte. Sul palco anche qualcuno che, in altri tempi, sarebbe stato fra le nuove proposte. Ma va bene così, in nome dell’auspicato giusto mix di esperienza e gioventù. Tanto che, a guardar bene, anche il vincitore delle Nuove proposte (quelle vere), Gaudiano, finisce quasi in continuità con la scaletta dei big. E il Festival, alla fine, finisce per restituire qualche novità (Madame) e dignità a qualcuno troppo sottovalutato (Colapesce e Di Martino ma anche Willie Peyote).

Gli ospiti fanno bene, mentre Achille Lauro si prende il suo tempo per i “quadri” voluti da Amadeus ogni sera (riscontrando consensi non troppo entusiasti e, probabilmente, andando fuori canone ben più del dovuto, con qualche interpretazione che di certo non rende giustizia alla ricercata arte). E anche Ibrahimovic sembra funzionare nell’economia dello spettacolo: “Non è stato il mio Festival ma quello degli italiani”. Forse ha ragione. Qualsiasi cosa si dica, l’obiettivo di far sentire un po’ di leggerezza è stato pienamente raggiunto. E Fiorello ha detto bene: non servivano i palloncini in platea.