“PERCHE’ ABBIAMO DETTO NO AL REFERENDUM DI ALITALIA”

E’ sufficiente entrare in un bar o salire su un autobus per sentire i commenti delle persone sul no dei dipendenti al referendum sul piano industriale di Alitalia. Nella maggior parte dei casi prevale lo sconcerto, quando non la vera e propria indignazione. Che è poi quello che si è potuto leggere ieri sui vari quotidiani, sia pure con toni e accentuazioni diversi. Durante la conferenza stampa di presentazione del messaggio della Cei sul 1. maggio, mons. Galantino ha affermato che “razionalmente non si comprende” ma bisognerebbe conoscere le motivazioni di chi ha votato no. E’ quello che ha cercato di fare In Terris, intervistando un pilota, dietro garanzia di anonimato, visto che “in passato qualcuno è stato licenziato per un commento su Facebook”. Un pilota con una presenza decennale in Alitalia e migliaia di ore di volo di esperienza alle spalle.

Qual è lo stato d’animo dopo questo risultato?
“Ci sentiamo comunque delusi, amareggiati, traditi, calpestati. E faccio notare che questa volta non hanno sparato a zero sulla categoria dei ‘piloti privilegiati’ perché il no è stato generale. I dirigenti non si aspettavano uno schiaffo del genere”.

Ma cosa vi ha spinto a respingere l’accordo? In fondo un taglio dell’8% dello stipendio e una perdita di meno di mille posti a fronte di un possibile fallimento sembrava una proposta dolorosa ma accettabile.
“E invece volevano prenderci per il collo. Quello dell’8% per il personale viaggiante è un taglio solo apparente. Non è una bugia ma è una mezza verità: ci sono altre voci che avrebbero portato la riduzione media al 25 e in alcuni casi anche al 30% dello stipendio. E attenzione, non parliamo più degli stipendi di una volta. Il personale di terra avrebbe perso poco o niente ma li avrebbero massacrati con i licenziamenti. Inoltre è chiaro che il piano industriale non avrebbe rilanciato l’azienda, perché non la rilanci mettendo a terra gli aerei. Si puntava solo a tirare avanti un altro po’ in vista di non so cosa. Probabilmente si cercava di alleggerire il costo del lavoro per rendere la compagnia appetibile per eventuali acquirenti. Questa volta abbiamo avuto un guizzo d’orgoglio. Il ragionamento è stato: rischio di perdere il lavoro ma a testa alta, alla dignità non rinuncio”.

Non erano sacrifici sopportabili?
“Noi eravamo disponibili a farli ma perché riguardano solo i lavoratori? Lo scorso anno Alitalia ha avuto circa 600 miloni di perdita che è la stessa cifra di otto anni fa, all’epoca del primo fallimento. Con la differenza che avevamo 200 aeroplani rispetto ai poco più degli attuali 100, 20.000 dipendenti contro circa 12.000 e il prezzo del petrolio era molto più alto. I privati sono arrivati spavaldi due anni fa e ci hanno chiesto il sacrificio delle tredicesime. Trenta milioni di taglio altrimenti non sarebbero entrati nella società. I sindacati accettarono. Quando poi si sono presentati hanno affermato che i soldi erano l’ultimo dei problemi. A maggio dello scorso anno (in occasione della presentazione delle nuove divise, ndr) hanno dichiarato che il bilancio era in linea con le previsioni, che l’azienda puntava a fare utili nel 2017 e a ottobre non c’erano soldi per pagare gli stipendi. Qualcosa non quadra”.

Dunque puntate l’indice contro il management?
“Una sola considerazione. L’amministratore delegato Cramer Ball si è fatto quadruplicare la buonuscita in caso di licenziamento o dimissioni da 6 a 24 mensilità. Parliamo di 2,5 milioni di euro circa mentre ai dipendenti venivano chiesti sacrifici enormi. Penso che se fossero stati azzerati i vertici il referendum avrebbe avuto una minima possibilità ma in queste condizioni… Ecco le cause dell’amarezza dei dipendenti”.

E le perdite?
“Bisognerebbe chiederlo ai dirigenti. Il compito di un pilota è portare un aereo da uno scalo all’altro con la massima professionalità e sicurezza, negli orari fissati e magari, se è bravo, risparmiando qualche chilo di carburante. Ma se l’aereo viaggia semivuoto di chi è la colpa? Perché l’azienda ha decine di velivoli in leasing (circa due terzi del parco, secondo una recente inchiesta del Corriere della Sera, ndr) pagati più del prezzo di mercato? Nessuno si fa queste domande?”

Ora cosa vi aspettate? Lo Stato ha già speso tanto per Alitalia e la gente non comprenderebbe lo stanziamento di nuovi fondi per ripianare i debiti.
“Non lo so. Il governo ha detto che la nazionalizzazione è impossibile. Spero che questo clamore serva a svegliare i dirigenti dal torpore e che ci sia una via d’uscita, anche se faccio notare che tutte le grandi compagnie europee hanno una partecipazione statale”.