Quarantena, la resilienza creativa dei ragazzi con sindrome di Down (AUDIO)

Rosanna De Sanctis, psicologa dell’Associazione d’idee di Bologna racconta come i suoi ragazzi hanno affrontato l’emergenza. Tra abbracci virtuali e storie d’amore

Immaginate dei ragazzi con la sindrome di Down all’interno di un’abitazione al centro di Bologna. Ragazzi che hanno stretto un’amicizia forse indissolubile e che hanno creato intense storie di passione e di amore. “Una resilienza creativa”. La chiama così questa capacità di risposta alle difficoltà dei ragazzi la psicologa Rosanna De Sanctis dell’Associazione d’Idee che si prende cura di questi giovani-adulti. Un caleidoscopio di emozioni che appare ancor più cangiante ora, in una situazione d’emergenza che li ha costretti a stare a casa.

Come stanno i suoi ragazzi?
“I ragazzi stanno bene, anche fisicamente perché li teniamo molto attivi. Certo questa emergenza dovuta al Coronavirus ha reso tutto più difficile, ma per noi è stato essenziale rimanere da subito collegati. Perciò abbiamo utilizzato tutti gli strumenti in nostra dotazione per rimanere connessi con loro”.

Qual è il progetto dell’Associazione d’Idee?
“Il nostro è un progetto che abbiamo realizzato molti anni fa che riguarda le autonomie e le autonomie possibili. Lo sviluppiamo con i nostri ragazzi con la sindrome di Down all’interno di una abitazione al centro di Bologna. Loro sono tutti giovani-adulti. La maggior parte lavora e chi non lavora ha comunque un’attività da svolgere il mattino. Come associazione svolgiamo due iniziative a settimana: una lunedì e una venerdì. Laboratori di preparazione alle autonomie insieme a dei preparatori, poi divisi per gruppi, a seconda anche di un percorso individuale, insegniamo loro a svolgere una vita autonoma. Alcuni lo fanno anche nei weekend, dal venerdì alla domenica. Altri soggiornano anche per una o due settimane. Loro sono abituati a stare in questa casa. Lì portano avanti le loro mansioni e si creano una routine. Come andare a lavorare, prepararsi da mangiare, fare la spesa, vivere le loro relazioni di coppia. Sempre coadiuvati da un educatore”.

Come è cambiato tutto ciò con il lockdown?
“Sono rientrati tutti in famiglia. Noi abbiamo deciso di chiudere prima, circa il 9 marzo, data antecedente al decreto. Avevamo già compreso che sarebbe stata una situazione molto complessa. Ci sentivamo in bisogno di preparare i ragazzi. Da subito, è stato essenziale comprendere come continuare a distanza queste attività”.

In che modo vi siete rivolti ai ragazzi?
“All’inizio abbiamo spiegato loro cosa stesse accadendo, il perché non potevamo più vederci e perché avremmo dovuto interrompere le nostre attività momentaneamente. Li abbiamo informati tramite chat su cosa fosse questo Coronavirus e sulle misure di sicurezza. Quindi la necessità di indossare la mascherina quando si esce. Inoltre, abbiamo mantenuto i laboratori di lunedì e del venerdì che rimangono attivi. Semplicemente avvengono da remoto: gli educatori si collegano con loro e assegnano a ciascuno delle mansioni come per esempio cucinare oppure dedicarsi al giardinaggio. Io come psicologa mi occupo anche di gruppi di sostegno per i genitori al fine di aiutarli ad affrontare queste difficoltà”.

I ragazzi come hanno gestito questo cambiamento?
“Sicuramente è stato meno traumatico perché hanno mantenuto il contatto con gli operatori. Hanno la possibilità di contattarli e di avere con loro dei colloqui individuali. L’importante è fornire le giuste spiegazioni senza farli accedere ad un’informazione senza controllo. Penso alle fake news che possono generare in loro grande preoccupazione. Per questo siamo noi che filtriamo le notizie. Anche per quanto riguarda le mascherine abbiamo incontrato delle difficoltà. Abbiamo spiegato ai genitori che bisognava essere molto accorti. Devono accettare questa nuova condizione. La mascherina, il distanziamento personale ma soprattutto evitare gli abbracci, i baci. Loro sanno che noi ci siamo, quindi il senso di ansia al quale andavano incontro è stato in qualche modo mitigato. Ricordiamo che per loro il cambiamento non significa soltanto non andare nella casa ma anche non poter più lavorare, uscire e stare in contatto con il pubblico. Alcuni di loro sono impiegati da Eataly per esempio. Questa interruzione l’abbiamo spiegata e fatta comprendere, attraverso il dialogo. Salvaguardando la loro sfera emozionale che per noi è fondamentale. Avrebbero potuto sviluppare sentimenti di grande paura per il contagio e di rabbia per non poter più stare insieme”.

Alcuni hanno trovato l’amore, come riescono a coltivarlo durante questi giorni?
“Stamattina parlavo appunto con una coppia che sta insieme da sette anni. Abbiamo favorito il fatto di potersi vedere tramite Skype, abbiamo dialogato con loro rispetto al futuro. Esprimono il desiderio attraverso le parole: ‘mi farebbe piacere abbracciarti, starti vicino’. Ma hanno ben chiaro il perché non possiamo farlo. Questo li ha aiutati a rimandare a tempi migliori. Ora continuano comunque a vedersi in video chiamata”.

Cosa l’ha colpita di più dei suoi ragazzi?
“Sicuramente le risorse che hanno. Tutto il lavoro che abbiamo fatto nell’associazione, lo hanno subito messo in pratica. Una resilienza creativa, una capacità di rispondere a questo stato di emergenza tramite le risorse che avevano introiettato in associazione. La loro autonomia è emersa. E poi la capacità di parlare delle loro emozioni. Anche di quelle scomode come la paura o l’angoscia. Questi ragazzi hanno davvero grandi capacità”.