Essere migranti nelle “prigioni” australiane

L'Australia accoglie i migranti, ma offshore. Da circa vent'anni, infatti, il Continente ha preso una decisione come impostare la gestione degli immigrati ritenuti irregolari perché privi di visto. Sulle isole Christmas, Nauru e Manus, facenti parte dell'arcipelago stretto tra Papua Nuova Guinea ed Indonesia, il Paese membro del Commonwealth relega, infatti, centinaia di profughi in uno stato di completo isolamento non solo sociale, ma anche giuridico, dal momento che non possono fare appello alla corte di giustizia. La provenienza dei detenuti è eterogenea: da coloro che migrano dal Medio-Oriente a quelli dal Sud-Est asiatico, tutti si ritrovano in Indonesia dove pagano per accedere a barche di fortuna. Durante la traversata, però, non devono solo sfidare solo i marosi dell'Oceano Indiano, ma anche la marina australiana che ha il potere di tenerli in stato di fermo e trattenerli in una delle isole a tempo indeterminato.

Come bypassare le regole

Il trattamento sui profughi è regolato, a livello mondiale, dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 con la cosiddetta clausola di non-refoulement, che vieta ai richiedenti asilo di ritornare nel Paese da cui sono fuggiti. Eppure il governo di Canberra ha sempre trovato il modo di trattenere i migranti fuori dal suolo australiano. Risale al 1977, infatti, la posizione arbitraria di trattenere o meno i migranti sull'isola . Nel 2001, a una manciata di giorni dall'attacco alle Torri Gemelle, la nave norvegese Tampa soccorse 438 migranti in pericolo nei pressi dell'isola di Christmas. L'episodio scatenò le reazioni contrariate della politica. Da quel momento, il governo dichiarò che qualsiasi richiesta di asilo sarebbe stata vagliata in strutture d'accoglienza site offshore. I centri furono attivi per molti anni e l'11 settembre non ha fatto altro che acuire un risentimento verso profughi di religione musulmana, consdierati potenzialmente pericolosi. Per di più, nel 2013 l'Australia ha raggiunto accordi con la Papua Nuova Guinea e l'isola di Nauru per concordare le procedure di reinserimento dei migranti “presi” dalla marina militare.   

L'allarme dell'Unhcr

Ma che differenza c'è tra centri di accoglienza per i richiedenti asilo e colonie penali? È quello che si chiede l'Unchr, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che da anni sollecita Canberra ad affrontare le precarie condizioni in cui versano i migranti “detenuti” sulle isole. Secondo il diritto internazionale, infatti, l'Australia continua ad essere responsabile del deterioramento delle condizioni di questi esseri umani: sull'isola di Nauru, per esempio, da tempo è emergenza sanitaria. Soltanto un anno fa, tanti rifugiati e richiedenti asilo sono stati evacuati per ragioni mediche. Riferendosi ai dati del 2018, sarebbero circa 1.500 le persone nei “centri di detenzione” fra Papua Nuova Guinea e Nauru e l'organismo dell'Onu non nasconde lo sconcerto per il netto aumento di casi di tendenze suicide, specialmente fra i profughi più giovani.

Accoglienza difficile

Qualche tempo prima di lasciare la Casa Bianca, l'allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha sottoscritto un contratto con l'Australia in cui Washington s'impegnava ad accogliere fino a 1.250 riugiati dalle isole di Manus e Nauru. L'attuale presidente Donald Trump ha dovuto rispettare l'accordo bilaterale del suo predecessore, ma non ha fatto mistero di approvare la “politica migratoria” australiana. In un tweet del 26 giugno scorso, Trump ha postato i manifesti realizzati dal governo australiano sulla protezione dei loro confini scrivendo: “Questi cartelli rappresentano il modo di procedere dell'Australia sull'Immigrazione Illegale. Abbiamo tanto da imparare!

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Nel frattempo, in virtù degli accordi presi in passato, nell'aprile scorso sono giunti negli Stati Uniti oltre 500 rifugiati ed altri si apprestano a partire. Anche la vicina Nuova Zelanda, nonostante sia stata recentemente scossa dalla furia suprematista negli attacchi terroristici a Christchurch, si è offerta di accogliere 150 migranti. Ma l'Australia glielo ha impedito, sostenendo che i profughi potrebbero usare l'isola come un “corridoio illegale” per giungere infine, su suolo australiano. Insomma, per Canberra “ogni uomo è un'isola”: un vero paradosso per il Paese che ha avuto uno sviluppo sistematico con l'arrivo coloni britannici.