Mafia nigeriana, gli agghiaccianti racconti dei pentiti

Un vero e proprio rituale quello a cui venivano sottoposti gli iniziati alla mafia nigeriana, un macabro percorso di affiliazione volto a “temprare” i nuovi anche attraverso pratiche violente. Questo quanto riferito alla Squadra Mobile di Palermo da due pentiti nell'ambito dell'indagine sulla cosiddetta Eiye e i suoi rituali con i quali ammetteva nuovi adepti. Rituali tremendi, ripresi grazie a una microspia nascosta in una casa di Ballarò, a Palermo, dove le immagini hanno in gran parte confermato quanto già raccontato dai collaboratori circa le pratiche alle quali venivano sottoposti gli iniziati, a cominciare dall'ingerimento di un mix liquido a base di lacrime, sangue, riso, alcol e tapioca, da mandar giù pronunciando il giuramento di fedeltà assoluta all'organizzazione. Il tutto registrato dalle microspie, con gli entranti a pronunciare il voto di dedicare se stessi al sostegno “morale, spirituale, finanziario e in qualunque altro modo” a quella che chiamano “confraternita”, invocando per se stessi una pena corporale in caso di fallimento nell'assolvere il giuramento.

I riti di affiliazione

Le testimonianze sono state raccolte nell'ambito dell'operazione “No Fly Zone”, indirizzata contro un gruppo cultuista connesso proprio alla Eiye, organizzazione con ramificazioni in tutto il territorio nazionale, dal nord al sud. Non solo le testimonianze ma anche l'analisi di alcune pagine Facebook ha aiutato gli inquirenti a far luce sulle modalità di affiliazione, soprattutto per il materiale riscontrato fatto di “fotografie e di immagini riconducibili al mondo e alla simbologia cultista che hanno attestato il legame associativo dei soggetti sui cui profili venivano reperite”. Rituali che, peraltro, si sviluppavano anche in modo estremamente violento: secondo quanto raccontato da uno dei testimoni, il rito iniziava facendo sdraiare a terra l'iniziato già bendato, per poi colpirlo violentemente con un bastone, sputando nei suoi occhi una sostanza che lo rendeva semi-cieco per alcuni istanti fino a una parola che garantiva il superamento della prova.

Le punizioni

Altri dettagli sono stati rivelati sulle punizioni riservate a chi disattendeva la fiducia della confraternita, con violenze riservate anche ai loro familiari. Per tenere assoggettati gli affilaiti, i leader “si avvalevano della forza di intimidazione del vincolo associativo”, nonché “della condizione di assoggettamento e di omertà che dall'associazione deriva” e “che si sostanziava nell'osservanza delle rigorose regole interne di rispetto ed obbedienza alle direttive dei vertici”.