Patricia Pagoto: “Vi racconto chi era Santa Ildegarda, anticipatrice dei tempi”

L'intervista di Interris.it a Patricia Pagoto, studiosa di spiritualità monastica e oblata benedettina, su Santa Ildegarda di Bingen

Donna, religiosa, teologa, filosofa, mistica: Ildegarda di Bingen rimane a più di otto secoli dalla morte protagonista della sintesi intellettuale e spirituale, tutta europea, fra Occidente e Oriente. Se un paragone a noi vicino può essere tentato, forse Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein da Breslau, ha manifestato fino all’estremo sacrificio, ottant’anni fa, la medesima, articolata testimonianza di vita e pensiero. Interris.it ne ha parlato con Patricia Pagoto, originaria del borgo medievale di Erice ma romana d’adozione, psicologa e psicoterapeuta, studiosa di spiritualità monastica e oblata benedettina. Dieci anni fa santa Ildegarda di Bingen veniva proclamata Dottore della Chiesa. Da Giovanni Paolo II è stata definita mulier fortis.

Qual è stato il suo tenace esser donna?

“Pur essendo vissuta nel XII secolo, Hildegard Von Bingen (1098-1179), grazie alle sue conoscenze e al suo amore per la ricerca unito all’intuizione, è una figura di riferimento per ogni donna nonché un’anticipatrice dei tempi, il nostro compreso. Ildegarda è stata scrittrice, teologa, mistica, profetessa, guaritrice, erborista, musicista, esperta di cosmologia, artista, linguista, poetessa, filosofa, drammaturga. La sua poliedricità è il linguaggio creativo della mistica che consente di penetrare al di dentro delle cose rinviando al di là di esse. Ildegarda è stata consigliere di diversi Pontefici, da Eugenio III ad Alessandro III. Dal 1147 alla sua morte nel 1179, corrispose anche con l’Imperatore Federico Barbarossa, prelati, principi, ecclesiastici, abati, badesse, semplici monaci, monache e laici. Ildegarda si applicò ad attività allora inaudite per il suo sesso come le predicazioni pubbliche che, su mandato pontificio, tenne in più d’una città della Germania. Il nome Ildegarda significa «colei che è audace in battaglia» e la sua vita fu per lei una battaglia dall’inizio alla fine della sua lunga esistenza, che si chiuse ad 81 anni. Proclamata Dottore della Chiesa da papa Benedetto XVI nel 2012, Ildegarda può essere considerata la prima pensatrice cristiana a prendere in considerazione la femminilità intesa come tale e non in contrapposizione con il genere maschile. La santità non muta nella sua sostanza anche se si esprime in forme differenti. Caterina da Siena rifiuta tutto quello che ha a che fare con la vita di una donna e persino il nutrimento corporeo. Ildegarda invece fa propria la spiritualità dell’Incarnazione nel segno della peculiarità femminile: quello della cura, della custodia della bellezza e della ricerca dell’armonia. Il corpo è il luogo in cui l’uomo fa esperienza delle proprie possibilità espressive, ma, nello stesso tempo, anche dei suoi limiti, della sua debolezza; in ultima analisi, della sua finitudine. La corporeità riveste per Ildegarda anche altre importanti valenze. Essa è la cifra dalla quale prende forma il bisogno dell’incontro con l’altro”.

Non ebbe una vita facile, ma seppe ogni volta risollevarsi. Una lezione, la sua, per il nostro vissuto quotidiano?

“Le difficoltà della sua esistenza – travagliata dalle malattie, dall’incomprensione, dalle molte schermaglie con il clero e complicata dal suo stato di veggente – l’hanno aiutata a sviluppare uno spirito critico e una sana intraprendenza che la portò a liberarsi da convenzioni limitanti. La forza che ha dimostrato nel saper ogni volta ricominciare, ci ricorda che siamo fatti per nascere e rinascere continue volte. La sua esperienza ha dei punti di collegamento con la situazione di stress traumatico che molti di noi hanno sviluppato nel periodo della pandemia e che crisi economica e climatica, attentati e guerre hanno esacerbato. Ildegarda è una sopravvissuta e i fatti della sua vita, all’apparenza così lontani, ci riguardano da vicino. Possiamo imparare anche dal primo periodo di vita, totalmente claustrale, di Ildegarda. Il lockdown ha aperto la strada a quel senso di possibilità che nasce dall’impotenza e che per molti si è rivelato una liberazione da ritmi forsennati, ma anche un duro territorio di confronto con se stessi e con il proprio sistema familiare-relazionale. Riconoscere di essere dei sopravvissuti libera dalla costrizione dei molti impianti consumistici che ottundono un’autentica capacità di scegliere. Il nocciolo incandescente di una catastrofe imminente o avvenuta nelle immediate prossimità della nostra esistenza, può tramutarsi in una forza di cambiamento sia personale che universale.

Possiamo parlare nella monaca Ildegarda di maternità? 

“La sua passione educativa è il segno più evidente della sua vocazione alla maternità. La profondità di questa Mulier fortis, come l’ha definita Giovanni Paolo II, sa guidarci attraverso quello che accade dentro di noi quando si spalanca il vuoto dell’abbandono, della perdita e di quella lacerazione esistenziale che circonda il mistero del lutto. La mancanza – sia essa perdita, tradimento, povertà o precarietà – è qualcosa cui non siamo più abituati e alla quale sovente, per intolleranza alla frustrazione e incapacità di dialogo, finiamo per reagire in modi violenti. Singolarmente non sappiamo più come dare voce al dolore e trasformarlo in un volano di energia vitale che accompagna la nostra ordinaria fragilità. Gli eventi della vita di Ildegarda possono aiutarci a cercare il coraggio dove non c’è e a guardare la vita negli occhi per fare luce dentro di noi quando siamo costretti a lasciare un luogo che aveva accolto la nostra vita, un lavoro o quando la malattia e la morte strappano dalle nostre braccia coloro che amiamo e davano senso alla nostra vita. Ildegarda lasciò il suo monastero originario dovendo affrontare molte difficoltà e altrettante ne affrontò pur di fondarne uno e allontanare da sé e dalla sua comunità lo spettro dell’autoritarismo. Vide avviarsi alla catastrofe la sua figlia spirituale e collaboratrice più cara, Richardis von Stade, che manifestò aperti segni di disobbedienza, abbandonando il monastero per una carica abbaziale a Bassum, nella diocesi di Brema, città della quale suo fratello era arcivescovo. Ildegarda espresse la sua delusione e il suo dolore, ma malgrado i suoi sforzi non riuscì a mutarne la volontà immatura. Le sue lettere angosciate e l’Ordo virtutis – la sua unica opera drammaturgica che portò a compimento dopo la morte di Richardis – ci ricordano che il lutto e l’amore abitano lo stesso luogo”.

Un incoraggiamento per molti genitori che soffrono…

“Riflettere su questo avvenimento sia di consolazione a tanti genitori che, malgrado il profondo amore che nutrivano per i loro figli, li hanno visti avviarsi alla rovina senza poterne impedire il destino fatale. Ai genitori orbati della propria creatura, Ildegarda ricorda che soltanto attraverso l’accettazione di questa esperienza estrema di spoliazione del futuro, possiamo ritrovare un’energia indomita nei confronti della vita, coscienti del fatto che niente potrà più farti tanto male quanto la morte di un figlio. Per essere liberati dalla costrizione ossessiva di una tale inaggettivabile perdita, il nostro ‘sì’ al dolore deve sbocciare in amore. L’unico modo con cui possiamo restare vicini a coloro che abbiamo perduto senza farci paralizzare dal dolore. La società contemporanea ha dimenticato cosa sia la sottrazione e di come la perdita, ogni perdita, sia purtroppo una condizione umana. Il lutto, perdita senza appello, è un viaggio nell’oscurità del dolore da cui si torna portando con sé insieme al sapere, il sapore del male”.

Quale fu la sua generatività benedettina?

“L’opera di Ildegarda affonda nelle radici del presente ponendoci una doppia domanda: che cosa sei in questo momento e che cosa vorresti diventare. Interrogativo che riguarda gli aspetti essenziali del proprio stato di essere e divenire. Affermando che siamo tutti parte di una Unità e concreatori del nostro habitat, con il concetto di viriditas Ildegarda sottolinea come il bisogno di crescere sia una forza interna e inesorabile che lavora dentro di noi e ci porta a lottare contro i limiti interni ed esterni nel tentativo di accrescere la profondità e l’ampiezza di chi siamo e di chi potremmo diventare. All’interno della concezione trinitaria di Ildegarda si può osservare come il macrocosmo della creazione e il microcosmo dell’uomo interagiscano a diversi livelli. L’uomo è inserito in un tessuto relazionale che investe tutti gli aspetti del suo essere e del suo esistere e che ha la sua radice ultima nel legame con Dio”.

Esiste una profezia ildegardiana?

“La sua capacità profetica nell’affermare che siamo tutti parte di un’unica globalità, si coniuga efficacemente anche con l’ecoansia. Il cambiamento climatico, i venti di guerra che soffiano e non soltanto dall’est, i colpi di coda della pandemia – minaccia ancora ben presente insieme a quella nucleare e di un crollo economico – sono tutte variabili che stanno erodendo il concetto di illimitatezza in cui è cresciuta la generazione post-bellica. Ildegarda sottolinea la profonda relazione tra l’uomo e Dio e tutta la Creazione. Questa caratteristica di profonda relazione ben si collega con i principi della formazione relazionale, che tende ad esplorare ed equilibrare le connessioni che intercorrono tra le tre componenti principali che determinano il nostro comportamento e le nostre scelte: mente, corpo e cuore”.

Nella sua professione di psicoterapeuta quanto incide la lezione e la sua amicizia con Ildegarda?

“Tutte le sue opere sono pervase da un profondo spirito di introspezione che le rende modello e percorso. Oltre ad opere musicali, libri di teologia e di mistica, Ildegarda compose anche opere di medicina e di scienze naturali L’importanza dell’ascolto e della comunicazione dialogante, elementi fondanti della Regola benedettina che costituiscono l’ordito dell’opera di Ildegarda, sono tra i fondamenti della professione di psicoterapeuta”.

Ildegarda attuale, quindi, anche nel sostegno psicologico del nostro presente?

“La paura del futuro e la mancanza di occupazione hanno fatto emergere su larga scala il disagio psicologico. Gli ambiti variegati in cui si è espressa la creatività di Ildegarda ci testimoniano che il lavoro e la musica salvano perché sono entrambe dimensioni fondamentalmente sacre. Viviamo in una società “infantilita” e privata dell’esperienza di un lavoro che sia diretto servizio all’altro e alla terra che ci nutre. Una società eccessivamente mediata dall’elettronica che vede l’affermarsi di un pensiero dominante che togliendo valore al lavoro dell’uomo, dà la priorità a una serie di valori che non contemplano più il naturale e fisiologico alternarsi delle stagioni della vita. Rifutarsi o essere incapaci di vivere una fase naturale dello sviluppo distorce radicalmente o rende impossibili le successive esperienze di crescita. Se non si sono sviluppati gli strumenti di esperienza e riflessione propri di una personalità matura, i vincoli psicologici interni e i limiti fisici della nostra natura, uniti al senso di inevitabilità dato dalle circostanze esterne, producono insicurezza, ansia se non addirittura angoscia e paralizzanti attacchi di panico. Eppure se riuscissimo a ricordare che il cambiamento è un fattore imprescindibile che si accompagna ad ogni crescita, non avremmo più così tanta resistenza e paura e potremmo dare al cambiamento il suo giusto nome: evoluzione. Lavoro e contemplazione sono i fondamenti della Regola benedettina e dell’agire umano: un agire il cui obiettivo è la crescita relazionale con se stessi e con l’altro”.

Pandemie, guerre, conflittualità sociali, emergenze climatiche: quale la ricetta di Ildegarda?

“L’epidemia del Covid accompagnata dalla crisi economica e climatica, alimentata dai conflitti ai confini dell’Europa, ha dato corso a una conseguente epidemia di insicurezza. Lo stato di continua emergenza che ci troviamo quotidianamente ad affrontare nei più diversi campi, unito al senso di impotenza individuale davanti a sfide globali, produce una crescente forma di accidia sociale. Pur coscienti di un senso di minaccia incombente che ci sovrasta, del rischio di un revanscismo identitario, non abbiamo però ancora sviluppato un sufficiente grado collettivo di responsabilità individuale. I fenomeni globali sono ancora troppo astratti per stimolarci a comportamenti capaci di contrastare, in primis, il senso di impotenza cui l’individuo minaccia di soccombere. Complice l’intossicazione virtuale, il rischio è quello di perdere la consapevolezza di quanto la forza della singolarità possa essere trainante. Per Ildegarda, ‘la Creazione intera è una Sinfonia dello Spirito Santo, che è in se stesso gioia e giubilo’ come affermato da Benedetto XVI. Quella cui si riferisce Ildegarda è una gioia severa, che chiede impegno e disciplina e può aiutarci a combattere lo scivolamento in una sorta di depressione latente che sta investendo ogni età della vita. La biografia di Ildegarda restituisce dignità a una stagione della vita che non è né sterile né residuale e ritrova la sua freschezza nella volontà di dare un significato più pieno alla propria esistenza”.