Pasini (Cnr-Iia): “La chiusura del ‘buco dell’ozono’ dipende anche da noi”

Per la Giornata mondiale per la preservazione dello strato di ozono, Interris.it ha intervistato Antonello Pasini, primo ricercatore dell’Istituto per l’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche

Nel collage: a destra foto di ActionVance su Unsplash , a sinistra per gentile concessione del professor Antonello Pasini

La vita sul nostro pianeta è resa possibile, oltre che dall’acqua, dalla terra e dall’aria, da uno strato di gas composto da tre atomi di idrogeno, cioè l’ozono, che si forma nell’atmosfera a circa 15-40 chilometri dalla superficie terrestre, perché è in grado di assorbire parte della radiazione solare, limitandone gli effetti dannosi per gli organismi viventi. Così, quando gli studiosi hanno scoperto il cosiddetto “buco dell’ozono”, la preoccupazione per l’impatto sulla salute delle persone e sull’ambiente ha spinto la comunità internazionale a unire le forze per affrontare l’emergenza sulla base delle conoscenze scientifiche. La prima soluzione che si è trovata è stata la messa al bando della produzione e dell’uso di prodotti chimici contenenti alogeni come il cloro e il bromo. Secondo le previsioni, riporta il Segretariato per l’ozono del Programma ambientale delle Nazioni unite (Unep), si prevede che l’ozono torni ai valori dei primi anni Ottanta tra il 2040 e il 2066.

Il “buco” e le “toppe”

Tra la metà degli anni Settanta e il decennio successivo, gli scienziati hanno cominciato a rilevare un assottigliamento dell’ozonosfera – una fascia della stratosfera – soprattutto nelle regioni polari, fino a quando, nel 1985, non si è ribattezzata “buco dell’ozono” la più marcata riduzione dello strato sopra l’Antartide. Il depauperamento dell’ozono stratosferico avrebbe potuto significare una maggior esposizione ai raggi ultravioletti, con crescente rischio per gli esseri viventi, come animali e umani, di essere colpiti da tumori della pelle. In quello stesso anno 28 Paesi adottarono e firmarono la Convenzione di Vienna e due anni dopo fu la volta del Protocollo di Montréal, trattato in vigore dal 1989 con lo scopo di regolare e controllare, puntando ad eliminarli, quei prodotti che contengono sostanze dannose per lo strato di ozono, per la maggior parte clorofluorocarburi. Secondo stime riportate dal Segretariato per l’ozono, i risultati di queste contromisure globali sono stati l’eliminazione graduale del 99% dei prodotti potenzialmente dannosi per l’ozono, pari a circa 1,8 milioni di tonnellate – il restante 1% è costituito principalmente da idroclorofluorocarburi – e una protezione dall’aumento dei raggi ultravioletti. Negli anni il Protocollo è stato aggiornato con cinque emendamenti e l’ultimo, quello di Kigali, capitale del Ruanda, adottato nel 2016 ed entrato in vigore nel 2019, ha incluso 18 idrofluorocarburi tra le sostanze controllate, perché pur non essendo nocivi per l’ozono sono potenti gas a effetto serra.

Il futuro

Oltre alla data di “chiusura” del buco dell’ozono, si calcolano gli effetti positivi di queste decisioni della comunità internazionale sul piano del contrasto a cambiamento climatico e si studia l’evoluzione dello strato di ozono, che se sarà meno intaccato da cloroflurocarburi e idroclofluorocarburi, potrebbe risentire sia dei gas a effetto serra che di eventi naturali come eruzioni vulcaniche e incendi. Secondo le stime, entro il 2100 le emissioni evitate potrebbero corrispondere all’equivalente di più di 10 anni di quelle annuali di CO2 dovute alle attività umane.

L’intervista

Nel 1994, l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha proclamato il 16 settembre Giornata internazionale per la conservazione dello strato di ozono, per commemorare la data della firma, nel 1987, del Protocollo di Montreal sulle sostanze che riducono lo strato di ozono.  Per l’occasione, Interris.it ha intervistato Antonello Pasini, primo ricercatore dell’Istituto per l’inquinamento atmosferico (Iia) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e docente di fisica del clima all’università Roma Tre.

Cos’è questo strato di ozono sopra di noi e perché è importante?

“Nella stratosfera, sopra i 15 chilometri di altezza dalla superficie terrestre, si è formato uno strato di queste molecole, composte da tre atomi di ossigeno, che assorbono i cosiddetti raggi ultravioletti duri, che possono provocare danni alla pelle umana, come melanomi e tumori. Quando si è scoperto l’assottigliamento dello strato di ozono, soprattutto ai poli, ci si è quindi preoccupati, principalmente per motivi medici”.

Un anno sentiamo dire che il cosiddetto “buco dell’ozono” è un po’ più grande, l’anno seguente invece più piccolo. Come si spiega?

“Premetto che da quando abbiamo scoperto che questo assottigliamento era dovuto agli effetti dei clorofluorocarburi e abbiamo cominciato a bandire i prodotti che li contenevano, dalla seconda metà degli anni Ottanta, con la firma prima e l’entrata in vigore del Protocollo di Montréal, la tendenza mediamente è che il ‘buco’ si va restringendo. Ci sono variazioni che determinano se un anno è più grande e un altro lo è di meno, principalmente in base alle condizioni metereologiche che influiscono sulla circolazione dei venti. Quando l’aria del Polo Sud si mescola con quella delle medie latitudini, l’assottigliamento si riduce”.

Quali sono i “nemici” dell’ozono?

“I materiali principali sono i clorofluorocarburi, ma ce ne sono anche altri che possono andare a turbare dal punto di vista meteorologico, non favorendo lo scambio di aria alle medie latitudini e facendo sì che il ‘buco dell’ozono’ rimanga vasto. I clorofluorocarburi innescano delle reazioni chimiche con l’ozono presente nella stratosfera e riescono a decomporre la molecola di ozono trivalente, depauperando così lo strato. Altri fattori che possono avere un impatto sul ‘buco dell’ozono’ sono le eruzioni vulcaniche particolarmente intense, ricche di polvere, o le condizioni meteorologiche”.

A oltre trent’anni dal trattato di Montreal, oggi si usano prodotti più sostenibili e meno dannosi?

“Sicuramente smettere di produrre quelli che contenevano clorofluorocarburi è stato importante, inoltre ha avuto un impatto piuttosto limitato sull’industria mondiale. Successivamente sono arrivati gli idroclorofluorocarburi, non pericolosi per l’ozono ma dotati, si è scoperto poi, di un potere riscaldante molto forte. Con l’aggiornamento del Protocollo di Montréal sono stati vietati anche questi e oggi si usano sostanze innocue sia per l’ozono che per il cambiamento climatico. E’ importante quindi che gli esperti dei vari settori si parlino tra loro, per evitare che per mettere una toppa a un buco se ne apra un altro”.

Dato che tende a ridursi, entro quando il “buco dell’ozono” si sarà richiuso?

“E’ ipotizzabile che accada in una cinquantina d’anni, ma è difficile fare delle previsioni univoche. Dipende anche da ciò che faremo noi: bandire i prodotti contenenti clorofluorocarburi ha aiutato a ‘rimpinguare’ lo strato di ozono, ma comunque per qualche tempo, per inerzia, questi hanno continuato ad avere un effetto sull’atmosfera. Oltre alla decisione di cui sopra, sono importanti il tempo e il costante monitoraggio dei risultati perché l’assottigliamento della fascia di ozono nella stratosfera si riduca”.