Udienza, Papa: “La visita in Congo e Sud Sudan è la realizzazione di un sogno”

Papa: "Preghiamo perché, nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, e in tutta l’Africa, germoglino i semi del suo Regno di amore, di giustizia e di pace"

Papa Francesco, accolto dall’ovazione dei presenti e dalle grida “Viva il Papa”, è entrato nell’Aula Paolo VI alle 9:00, dove ha tenuto l’udienza generale. Il Pontefice ha fatto ingresso dall’entrata posta sul palco della Sala Nervi e ha raggiunto la sua poltrona al centro camminando aiutandosi con un bastone. L’Aula è gremita di migliaia di fedeli, provenienti come sempre da tutto il mondo.

Sono presenti, tra gli altri, i giovani partecipanti alla Giornata mondiale di preghiera e riflessione sulla tratta di persone, che ricorre oggi, e le delegazioni della Fiaccola Benedettina, per le celebrazioni del santo patrono d’Europa, provenienti da Subiaco, Norcia e Cassino e guidate dai rispettivi sindaci. La Fiaccola è stata benedetta dal Papa al termine dell’udienza. Nel discorso in lingua italiana il Papa incentra la Sua meditazione sul Suo recente Viaggio Apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan.

La catechesi del Papa

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! La scorsa settimana ho visitato due Paesi africani: la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. Ringrazio Dio che mi ha permesso di compiere questo viaggio, da tempo desiderato.

Due “sogni”: visitare il popolo congolese, custode di un Paese immenso, polmone verde dell’Africa e secondo del mondo insieme all’Amazzonia. Terra ricca di risorse e insanguinata da una guerra che non finisce mai perché c’è sempre chi alimenta il fuoco. E visitare il popolo sud sudanese, in un pellegrinaggio di pace insieme all’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby e al Moderatore generale della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields: siamo andati insieme per testimoniare che è possibile e doveroso collaborare nella diversità, specialmente se si condivide la fede in Cristo.

I primi tre giorni sono stato a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Rinnovo la mia gratitudine al Presidente e alle altre Autorità del Paese per l’accoglienza riservatami. Subito dopo il mio arrivo, presso il Palazzo Presidenziale, ho potuto indirizzare il messaggio alla Nazione: il Congo è come un diamante, per la sua natura, per le sue risorse, soprattutto per la sua gente; ma questo diamante è diventato motivo di contesa, di violenze, e paradossalmente di impoverimento per il popolo. È una dinamica che si riscontra anche in altre regioni africane, e che vale in generale per quel continente: continente colonizzato, sfruttato, saccheggiato. Di fronte a tutto questo ho detto due parole: la prima è negativa: “basta!”, basta sfruttare l’Africa! La seconda è positiva: insieme, insieme con dignità e rispetto reciproco, insieme nel nome di Cristo, nostra speranza.

E nel nome di Cristo ci siamo radunati nella grande Celebrazione eucaristica, evento culminante, gioioso, festoso, in cui Cristo Risorto ha ripetuto a quel popolo tanto provato: «Pace a voi!» (Gv 20,19). E da lì, come da una fonte, può ripartire un nuovo cammino: cammino di perdono, di comunione e di missione.

Sempre a Kinshasa si sono svolti poi i diversi incontri. Anzitutto quello con le vittime della violenza nell’est del Paese, la regione che da anni è lacerata dalla guerra tra gruppi armati manovrati da interessi economici e politici. La gente vive nella paura e nell’insicurezza, sacrificata sull’altare di affari illeciti. Ho ascoltato le testimonianze sconvolgenti di alcune vittime, specialmente donne, che hanno deposto ai piedi della Croce armi e altri strumenti di morte. Con loro ho detto “no” alla violenza e alla rassegnazione, “sì” alla riconciliazione e alla speranza.

Ho incontrato poi i rappresentanti di diverse opere caritative presenti nel Paese, per ringraziarli e incoraggiarli. Il loro lavoro con i poveri e per i poveri non fa rumore, ma giorno dopo giorno fa crescere il bene comune. Per questo ho sottolineato che le iniziative di carità devono essere sempre promozionali, cioè non solo assistere ma favorire lo sviluppo delle persone e delle comunità.

Un momento entusiasmante è stato quello con i giovani e i catechisti congolesi. È stata come un’immersione nel presente proiettato verso il futuro. Certamente è così sul piano anagrafico, ma più ancora in senso spirituale: pensiamo alla forza di rinnovamento che può portare quella nuova generazione di cristiani, formati e animati dalla gioia del Vangelo! A loro ho indicato cinque strade: la preghiera, la comunità, l’onestà, il perdono e il servizio. Il Signore ascolti il loro grido che invoca pace e giustizia.

Nella Cattedrale di Kinshasa ho incontrato i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate e i seminaristi. Sono tanti e sono giovani, perché le vocazioni sono numerose. Li ho esortati ad essere servitori del popolo come testimoni dell’amore di Cristo, superando tre tentazioni: la mediocrità spirituale, la comodità mondana e la superficialità. Infine, con i Vescovi congolesi ho condiviso la gioia e la fatica del servizio pastorale. Li ho invitati a lasciarsi consolare dalla vicinanza di Dio e ad essere profeti per il popolo, con la forza della Parola di Dio, ad essere segni della sua compassione, della sua vicinanza, della sua tenerezza.

La seconda parte del Viaggio si è svolta a Giuba, capitale del Sud Sudan, Stato nato nel 2011. Questa visita ha avuto una fisionomia del tutto particolare, espressa dal motto che riprendeva le parole di Gesù: “Prego che siano tutti una cosa sola” (cfr Gv 17,21). Si è trattato infatti di un pellegrinaggio ecumenico di pace, compiuto insieme ai Capi di due Chiese storicamente presenti in quella terra: la Comunione Anglicana e la Chiesa di Scozia. Era il punto di arrivo di un cammino iniziato alcuni anni fa, che ci aveva visti riuniti a Roma nel 2019, con le Autorità sud sudanesi, per assumere l’impegno di superare il conflitto e costruire la pace.

Purtroppo il processo di riconciliazione non è avanzato e il neonato Sud Sudan è vittima della vecchia logica del potere e della rivalità, che produce guerra, violenze, profughi e sfollati interni. Perciò, rivolgendomi a quelle stesse Autorità, le ho invitate a voltare pagina, a portare avanti l’Accordo di pace e la Road Map, a dire decisamente “no” alla corruzione e ai traffici di armi e “sì” all’incontro e al dialogo. Solo così potrà esserci sviluppo, la gente potrà lavorare in pace, i malati curarsi, i bambini andare a scuola.

Il carattere ecumenico della visita in Sud Sudan si è manifestato in particolare nel momento di preghiera celebrato insieme con i fratelli Anglicani e quelli della Chiesa di Scozia. Insieme abbiamo ascoltato la Parola di Dio, insieme gli abbiamo rivolto preghiere di lode, di supplica e di intercessione. In una realtà fortemente conflittuale come quella sud sudanese questo segno è fondamentale, e non è scontato, perché purtroppo c’è chi abusa del nome di Dio per giustificare violenze e soprusi. Perciò è tanto importante testimoniare che la religione è fraternità, è pace, è comunione; che Dio è Padre e vuole sempre e solo la vita e il bene dei suoi figli.

Il Sud Sudan è un Paese di circa 11 milioni di abitanti, di cui, a causa dei conflitti armati, due milioni sono sfollati interni e altrettanti sono fuggiti in Paesi confinanti. Per questo ho voluto incontrare un grande gruppo di sfollati interni, ascoltarli e far sentire loro la vicinanza della Chiesa. In effetti, le Chiese e le organizzazioni di ispirazione cristiana sono in prima linea accanto a questa povera gente, che da anni vive nei campi per sfollati. In particolare mi sono rivolto alle donne, che sono la forza che può trasformare il Paese; e ho incoraggiato tutti ad essere semi di un nuovo Sud Sudan, senza violenza, riconciliato e pacificato.

Nell’incontro con i Pastori e i consacrati di quella Chiesa locale, abbiamo guardato a Mosè come modello di docilità a Dio e di perseveranza nell’intercessione. Come lui, plasmati dallo Spirito Santo, possiamo diventare compassionevoli e miti, distaccati dai nostri interessi e capaci di lottare anche con Dio per il bene della gente che ci è stata affidata. E nella celebrazione eucaristica, ultimo atto della visita in Sud Sudan e anche di tutto il viaggio, mi sono fatto eco del Vangelo incoraggiando i cristiani ad essere “sale e luce” in quella terra tanto tribolata. Dio ripone la sua speranza non nei grandi e nei potenti, ma nei piccoli e negli umili.

La Bibbia lo dice dall’inizio alla fine. Quando Gesù insegnava ai discepoli in Galilea, chi aveva di fronte? Persone comuni, pescatori. Eppure proprio a loro disse: «Voi siete il sale della terra […]. Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14). E continua a dirlo anche oggi a chi confida in Lui. È il mistero della speranza di Dio, che vede un grande albero dove c’è un piccolo seme. Preghiamo perché, nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, e in tutta l’Africa, germoglino i semi del suo Regno di amore, di giustizia e di pace.