Ecco i veri nodi che il Movimento 5 Stelle deve sciogliere dopo l’election day

La prima falla, almeno per il momento, è stata tamponata. Ma non è detto che l’argine regga. Il voto delle regionali e il risultato del referendum potrebbero aprirne di nuove e ben più profonde, travolgendo l’attuale maggioranza di governo. Dunque meglio navigare a vista, contando sui risultati quotidiani. E così, dopo i malumori dei giorni scorsi del Movimento 5 Stelle, il governo ha retto al voto di fiducia sul Dl semplificazioni. Il via libera dell’Aula, arrivato con 157 sì, è un buon segnale per Conte e i suoi ministri, anche se c0è già in vista una nuova “querelle”.

Una parte dei senatori, circa una trentina di pentastellati, hanno espresso in una riunione tenutasi venerdì mattina a palazzo Madama perplessità sul disegno di legge – sul quale il Senato si esprimerà la prossima settimana – che parifica i requisiti per l’elettorato attivo e passivo per le due Camere, consentendo ai 18enni di votare anche per il Senato. Perplessità avanzate anche sulla possibilità che si possa diventare senatori a 25 anni. Il timore – viene fatto osservare da più fonti parlamentari – è che perseguendo questa direzione si vada verso il monocameralismo. Ma a palazzo Madama aumentano, sempre secondo quanto si apprende da ambienti della maggioranza, pure i contrari al referendum, una battaglia portata avanti dal Movimento 5 stelle sulla quale però si riscontra molta freddezza tra diversi deputati e senatori, con i fautori del no che dietro le quinte lamentano di essere emarginati e di non poter in alcun modo utilizzare i mezzi di comunicazione dei Cinque stelle.

Un allarme sul disimpegno di una parte dei parlamentari nei giorni scorsi, sotto traccia, era stato lanciato da diversi ‘big’. Proprio per questo motivo in una riunione tra i massimi dirigenti M5s che si è tenuta martedì scorso in via Arenula si è ragionato, riferiscono fonti parlamentari del Movimento, sulla possibilità di indire una manifestazione di piazza. La riunione è stata convocata da Crimi su questo tema. Ma lo scontro che sta emergendo sempre di più è quello sulla leadership. La reggenza di Crimi è destinata a terminare con il voto del 20 e del 21 settembre. La possibilità di arrivare subito su una segreteria allargata, ovvero prima delle prossime urne, è una opzione remota, con un largo fronte parlamentare che da settimane si sta muovendo per chiedere una riorganizzazione del Movimento con una possibile trasformazione in partito, anche se contraria a decisioni calate dall’alto. Da qui lo stop.

Ma Di Maio, da Cernobbio, è tornato a chiedere un cambio di passo. “Che sia corale o che sia unica, è arrivato il momento”, spiega il ministro degli Esteri , impegnato a riprendersi il centro della scena o, comunque, il controllo su una parte del Movimento, che i % Stelle si diano una leadership votata, legittimata e in grado di affrontare le sfide del governo”. Un orientamento, quello di Di Maio, che accomuna molti deputati e senatori e l’ala governista. Ma agli occhi di diversi senatori è parsa una sorta di “autocandidatura” che non è stata gradita da tutti. Però è l’unico modo per tenere accesi i fari sul Movimento, altrimenti destinato a finire in un cono d’ombra, ammesso che non lo faccio i risultati delle urne. Da qui i tatticismi dei big.

Sul tavolo restano, però, diversi nodi in vista della convocazione degli Stati generali (kermesse non ancora fissata anche perché non c’è accordo sulle regole di ingaggio): il primo è il ruolo di Casaleggio, (anche nella riunione di martedì a cui erano presenti, tra gli altri il capo delegazione Bonafede, Di Maio, Crimi, Buffagni, Fraccaro, Patuanelli, Crippa e il suo vice Silvestri) si sarebbe ragionato sulla necessità che la piattaforma web torni in possesso del Movimento; il secondo quello di Di Battista che non c’era all’incontro (pur essendo stato invitato) e starebbe preparando la sua ‘scalata’ alla leadership sulla base di un nuovo programma.

Nell’incontro si sarebbe deciso che non si può proseguire solo con la formula del capo politico (tesi, invece, sostenuta da Casaleggio) ma in diversi sono contro l’ipotesi che il superamento di questo schema debba avvenire attraverso lo strumento sia appunto Rousseau. Sarebbe stato proprio Crimi a illustrare il percorso di riflessione sulla governance che intende avviare, un percorso che avrà come primo passo la votazione se proseguire come adesso o creare una struttura collegiale con un “primus inter pares”, prospettiva cui propenderebbero Beppe Grillo e una larga parte del Movimento.

Tensioni e fibrillazioni, quelle grilline, destinate a tenere sulla corda anche la maggioranza di governo e gli alleati. Del resto lo stesso Pd non vive un momento felice e le urne potrebbero peggiorare la situazione. Ragioni, queste, che rendono non facile il percorso del governo, costretto a ricorrere a tutti i mezzi a disposizione pur di non cadere nelle trappole dell’opposizione. E il ricorso sistematico al voto di fiducia non è certo un bel segnale. Anzi, è un pessimo modo per tenere insieme quel che non vuole starci…