Michele Mele, matematico ipovedente: “È il contesto che determina la disabilità”

A Interris.it Michele Mele, matematico ipovedente, insignito dal presidente Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana "per la sua opera nel divulgare con cura e precisione le problematiche delle persone ipovedenti impegnandosi per eliminare le difficoltà e gli ostacoli"

Nella foto, Michele Mele. Foto gentilmente concessa da lui medesimo

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha conferito, motu proprio, le onorificenze al Merito della Repubblica italiana a trenta “eroi della vita quotidiana”: cittadine e cittadini che si sono distinti per attività volte a contrastare la violenza di genere, per un’imprenditoria etica, per un impegno attivo anche in presenza di disabilità, per l’impegno a favore dei detenuti, per la solidarietà, per la scelta di una vita come volontario, per attività in favore dell’inclusione sociale, della legalità, del diritto alla salute e per atti di eroismo.

Tra gli insigniti, anche Michele Mele, 32 anni, Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana “Per la sua opera nel divulgare con cura e precisione – si legge nella motivazione – le problematiche delle persone ipovedenti e non vedenti impegnandosi per eliminare le difficoltà e gli ostacoli”. Interris.it lo ha intervistato per conoscerlo meglio e per fare il punto sulla reale inclusività della società italiana.

L’intervista a Michele Mele

Cosa ha provato nel ricevere l’onorificenza dal Presidente Mattarella?

“E’ stata una grossa sorpresa! Mi ha fatto molto piacere vedere che degli sforzi portati avanti senza aspettarti alcun riconoscimento abbiano portato ad una gratifica così prestigiosa dalle mani del Presidente della Repubblica!”.

Qual è la sua opera?

“La mia opera si articola in diversi settori. Partiamo dal fatto che io sono un matematico gravemente ipovedente e sono l’unico professionista della matematica in Italia con questa grave patologia della vista. Conoscendo bene i pregiudizi che circondano le persone con patologie della vista specie nelle scienze, ho pensato che dovevo prendere posizione. E’ iniziato così questo impegno che si articola su quattro livelli. Primo: la mia ricerca scientifica. Sono nato a Salerno nel 1991, dove mi sono laureato; ho preso il dottorato in matematica a Napoli e adesso sono ricercatore all’Università del Sannio a Benevento”.

Di cosa si occupa all’Università?

“Mi occupo di ottimizzazione combinatoria, che è la scienza degli algoritmi. Tra le varie cose mi sono occupato di ottimizzare i servizi di assistenza per persone con bisogni speciali nei grandi aeroporti internazionali. Per questi servizi ci sono delle regole che vengono molto spesso ignorate. Io ho scritto un algoritmo che può organizzare (si dice: fare lo scheduling) di 2 mila accompagnamenti, offrendo il servizio massimo a un costo molto competitivo. Più basso di quello che oggi gli aeroporti utilizzano, senza però offrire un servizio ottimale”.

Lei sta parlando di accompagnare persone con problematiche specifiche o l’accompagnamento in generale?

“Chiunque ne abbia bisogno. Quindi l’ipovedente, il non vedente, la persona su sedia a rotelle; ma anche la mamma con 3 bambini e 3 valigie o l’anziano che per la prima volta prende l’aereo. Chiunque faccia richiesta, dunque”.

Come è nato questo servizio?

“Sono venuto a conoscenza del disservizio degli aeroporti grazie al fatto che essendo vicino al mondo delle associazioni conosco i problemi di molti ipovedenti e non vedenti che mi hanno raccontato dei loro ‘viaggi della speranza’ in aeroporti che hanno offerto dei servizi – a pagamento! – veramente di scarsa qualità. Dal loro  input è nato il progetto che poi è divenuto realtà”.

Oltre a ricerca e innovazione, di cosa altro si occupa?

“Di didattica e divulgazione scientifica. Nello specifico: sulla storia e sulla didattica della matematica, con una particolare attenzione sulla storia dell’insegnamento della matematica alle persone con patologie della vista, partendo dai primissimi strumenti ideati secoli fa per la matematica in forma tattile, arrivando agli assistenti vocali e alle metodologie moderne. E su quali saranno i futuri scenari, con l’arrivo della IA, ad esempio”.

Ci sono dei pregiudizi sul lavoro scientifico degli ipovedenti?

“Sì, in tanti pensano che un non vedente possa fare solo il centralinista o il fisioterapista. Eppure, non è così. Basta guardare ai numeri: solo in America ci sono più di mille avvocati ipovedenti o non vedenti, centinaia di musicisti, cantanti, compositori, strumentisti. E tanto altro”.

Quanti scienziati non vedenti o ipovedenti esistono?

“Sono molto pochi. E pochissimi quelli entrati nella cultura pop, come avvenuto per altre categorie lavorative quali gli artisti e musicisti. Chi non conosce Ray Charles, Stevie Wonder o Bocelli?”.

Perché sono così poco noti gli scienziati ipovedenti o non vedenti?

“Ciò è dovuto alla falsa idea – molto radicata – che la scienza sia visiva. Ma questo è un errore. E il mio lavoro lo dimostra”.

Come superare questo pregiudizio?

“Raccontando la storia e la vita reale dei tanti scienziati non vedenti che hanno contribuito fattivamente alla crescita della società, con studi e scoperte importanti, alcune delle quali le usiamo tutti i giorni. Così mi sono messo, durante il primo lockdown, a caccia negli archivi – in collaborazione anche con università come quella di Cambridge e del British Museum – di storie di scienziati ipovedenti o non vedenti”.

Il prof. Michele Mele e le copertine dei suoi sue libri, editi da Efesto Ed.

Cosa ha scoperto?

“Ho scoperto 10 scienziati, sei del passato e quattro del presente. Ho raccontato le loro incredibili storie nel mio primo libro ‘L’universo tra le dita, storie di scienziati ipovedenti o non vedenti’, pubblicato da Edizioni Efeso nel 2021 e che ha avuto dieci ristampe e ricevuto vari premi, tra cui l’Oscar della letteratura italiana, il premio Città di Cattolica”.

Tra queste dieci figure ce n’è qualcuna in particolare che vuole citare?

“Certo. Tra le personalità viventi, ad esempio, c’è colui che ha ideato il tampone rapido per il covid. Oppure: il primo scienziato che ha catalogato i parametri con cui le api producono il miele a seconda dei fiori è stato un non vedente nato nel 1750, vale a dire prima del Braille. Ma il mio preferito è John Metcalf, il primo scienziato non vedente della storia”.

Cosa fece di speciale John Metcalf? 

“Fu un personaggio straordinario che polverizzò tutti i pregiudizi sulle possibilità dei non vedenti, nonostante non avesse alla nascita nessun privilegio. Nato nel 1717 da una famiglia estremamente povera, divenne non vedente dall’età di 6 anni a causa del vaiolo. Ciò nonostante divenne professore a Cambridge, da completo autodidatta, ereditando la cattedra che era stata di Newton. Fu anche un musicista acclamato, una guida – andava a cavallo da solo! D’altronde, se si può addestrare un cane giuda, perché non un cavallo? – imprenditore, campione sportivo e addirittura un contrabbandiere! Visse fino a 92 anni in modo assolutamente avventuroso. Viene ricordato perché fu il primo ingegnere stradale della storia. Chi avrebbe mai ipotizzato che il primo ingegnere stradale della storia era un non vedente, autodidatta, vissuto 100 anni prima del braille e 200 anni prima del computer? Penso nessuno, sembra quasi un controsenso. È una storia che meriterebbe una serie tv. E siccome questo personaggio è amatissimo, ho scritto un secondo libro, pubblicato il 24 ottobre del 2023, che si intitola ‘Il richiamo della strada’ a lui dedicato”.

Cosa insegnano le storie di questi scienziati?

“Gli esempi di cui ho scritto sono testimonianza che non si tratta di geni. Ma di persone comuni. Dimostrano che è il contesto che determina la disabilità, non un pugno di cellule in meno! E che, a causa di questo pregiudizio, abbiamo perso un sacco di non vedenti e ipovedenti di grande talento che solo a causa di una patologia sono stati scoraggiati a seguire quelli che potevano essere i loro sogni e aspirazioni. E quanti ne stiamo perdendo ancora a causa di politiche del lavoro e dell’istruzione miopi?”.

Come è stata la sua infanzia?

“Io sono stato fortunato perché ho avuto una famiglia che mi ha sempre supportato. Ciò nonostante, ho trovato qualcuno che ha voluto mettermi i bastoni tra le ruote”.

Quale difficoltà ha vissuto?

“Un professore del liceo, tra l’altro proprio il professore di matematica e fisica, che era convintissimo che io non potessi diventare un matematico. Me lo disse apertamente: ‘tu la matematica non la puoi capire perché non ci vedi’. Eppure, abbiamo visto il risultato…”.

Qual è il suo consiglio per quanti che per la prima volta incontrano una persona ipovedente o non vedente?

“Potremmo riassumerlo con il karma: ‘niente pietismo, niente autocommiserazione’. Le persone con patologie della vista sono persone come tutte le altre. Abbiamo un grosso problema di comunicazione oggi”.

Quale problema?

“Il modo in cui ipovedenti e non vedenti, e in generale le persone con disabilità disabilità, vengono rappresentati”.

In quale modo vengono rappresentati?

“In due modi agli antipodi. Il primo è la versione pietistica. Del tipo: ‘oh poverino, non è in grado di fare niente, sarà anche un po’ stupido, quindi lo tratto come un bambino anche se ha 30 anni’. Il secondo è l’opposto: da supereroe, il cosiddetto inspiration porn: ‘se ce l’ha fatta lui (sottinteso: che ha qualcosa in meno di me…) allora posso farcela anch’io’. E’ in maniera velata un’altra forma di discriminazione. Quindi il messaggio è: niente pietismo, niente autocommiserazione e più reale inclusione, non solo di facciata”.