Maria Elisabetta Hesselblad, la santa “eternamente legata al cuore di Gesù”

“La Beata Elisabetta ci insegna a ricorrere alla croce salvatrice di Cristo, fonte di forza nei periodi di prova. Il suo impegno ecumenico, la carità pratica e la profonda spiritualità sono un modello per tutti i seguaci di Cristo, specialmente per coloro che vivono la vita consacrata. Attraverso l’intercessione della Beata Elisabetta, possa la causa dell’unità dei cristiani continuare a progredire e possa il suo lavoro e il suo carisma ricordare ai cristiani d’Europa le uniche radici evangeliche della loro cultura e civiltà”. Le parole di Giovanni Paolo II aiutano a comprendere le virtù di questa vivace donna nata in Svezia nel 1870. Quinta di tredici figli ed educata in una famiglia luterana, da fanciulla resta colpita da una frase letta nel Nuovo Testamento in cui si parla di un “unico ovile” al quale il Signore, Buon Pastore, ricondurrà tutti. Così descriverà questa sua ansia nelle “Memorie autobiografiche”: “Da bambina, andando a scuola e vedendo che i miei compagni appartenevano a molte chiese diverse, cominciai a domandarmi quale fosse il vero Ovile, perché avevo letto nel Nuovo Testamento che ci sarebbe stato ‘un solo Ovile ed un solo Pastore’. Pregai spesso per essere condotta a quell’Ovile e ricordo di averlo fatto specialmente in un’occasione quando, camminando sotto i grandi pini del mio paese natio, guardai in special modo verso il cielo e dissi: ‘Caro Padre, che sei nei cieli, indicami dov’è l’unico Ovile nel quale Tu ci vuoi tutti riuniti’. Mi sembrò che una pace meravigliosa entrasse nella mia anima e che una voce mi rispondesse: ‘O, figlia mia, un giorno te lo indicherò. Questa sicurezza mi accompagnò in tutti gli anni che precedettero la mia entrata nella Chiesa”.

A 18 anni Elisabetta emigra negli Stati Uniti per aiutare economicamente la sua famiglia lavorando come infermiera nell’ospedale Roosvelt di New York. Mediante il contatto quotidiano con sofferenza e malattia – che la toccano nel profondo dell’animo – affina la sua sensibilità umana e spirituale conformandola a quella della sua compatriota Santa Brigida. Risale a questo periodo un’esperienza straordinaria che le capita una notte nel posto di lavoro. Per un disguido resta chiusa nella camera mortuaria dell’ospedale, così decide di passare il tempo pregando accanto a ognuna delle salme. Inginocchiata accanto a quella di uomo, però, le pare di avvertire come un respiro, seppur flebile. Sulla sua cartella c’è scritto che è morto per un attacco cardiaco, ma Elisabetta quel respiro lo sente, sempre più forte e chiaro. Da brava infermiera sa che quel corpo in bilico tra la vita e la morte ha bisogno di calore per essere riportato alla vita e allora gli mette addosso i suoi abiti. La troveranno così, il giorno dopo, a pregare accanto a un giovane tornato a vivere.

Sempre negli Usa decide di lasciarsi guidare da un padre spirituale, il gesuita Johann Hagen. E’ grazie a lui che abbraccia definitivamente la fede cattolica e si fa battezzare nel giorno dell’Assunzione della Beata Vergine Maria del 1902. Scrive a un’amica che si trova nel Convento della Visitazione a Washington: “Adesso vedo tutto chiaro, tutti i miei dubbi sono scomparsi, devo divenire immediatamente figlia della vera Chiesa e tu dovrai farmi da madrina… Prega per me e ringrazia Dio e la Beata Vergine”. Nel 1904 si reca a Roma e, con uno speciale permesso del Papa Pio X, veste l’abito brigidino nella casa di Santa Brigida allora occupata dalle Carmelitane. “Ho sognato – scrive a sua sorella Eva – il ritorno al mio paese natale, una ‘Casa della Pace’ nella mia dolce patria, ma la Tua voce mi ha chiamata all’eterna Roma, alla casa di S. Brigida… La lotta è stata grande e difficile, ma la Tua voce così esortante. Signore, prendi da me questo calice, che non è mio senza la Tua volontà. Le Tue mani trapassate hai teso verso di me per esortarmi a seguirTi sul sentiero della Croce fino alla fine della vita. Ecce ancilla Domini. Signore, fai di me ciò che vuoi. Mi basta la Tua Grazia”. Dietro ispirazione dello Spirito Santo ricostituisce l’Ordine di Santa Brigida, lasciando guidare il suo apostolato dal grande ideale “Ut omnes unum sint” (“Perché tutti siano una cosa sola”).

Elisabetta, che aggiunge al suo nome quello della Madonna, si adopera con grande impegno per riportare l’Ordine di Santa Brigida in Svezia. Riesce in questa impresa nel 1923 a Djursholm e a Vadstena nel 1935. Le sofferenze fisiche l’accompagnano per tutta la sua esistenza. Così ne parla alle consorelle: “Vedete, il dottore non comprende che io ho una ragione per soffrire e donare le mie pene; desidero, se il Signore le accetta, offrire tutte le mie sofferenze e pene per questa attività e per la Svezia”. E ancora: “La nostra vita è una vita di sacrificio nel servizio di Dio. Il sacrificio è contro la nostra natura – le attrazioni del mondo con le sue soddisfazioni ci attirano – ma come tu già sai, la nostra vita è una vita di sacrificio che ci dona non solo quella pace interiore, ma quella gioia che possiamo trovare nel Signore. Ma per arrivare a questo atto, la donazione di noi stesse a Dio deve essere completa ed incrollabile”.

Santa Maria Elisabetta spende la sua vita in una continua carità operosa per i più bisognosi. Durante la seconda guerra mondiale dà rifugio a molti ebrei perseguitati trasformando la sua casa in un luogo dove le sue Figlie potevano distribuire viveri e vestiario a chi non ha niente. Stremata nel fisico, ma animata sempre da grande fervore spirituale, abbandona la vita terrena, spegnendosi nella casa di Santa Brigida a Roma nel 1957. Il suo legame indissolubile con l’Onnipotente è testimoniato dalla sua vita e dagli scritti che ha lasciato, come questa bellissima preghiera consegnata alla nonna: “Ti adoro, grande prodigio del cielo, Che mi dai cibo spirituale in abito terreno! Tu mi consoli nei miei momenti bui. Quando ogni altra speranza per me è spenta! Al Cuore di Gesù presso la balaustra dell’altare. Eternamente in amore sarò legata”.